Wendell Berry, il poeta dell’agricoltura tradizionale
Wendell Berry diffonde le modalità dell'agricoltura tradizionale ed è fermamente convinto della non sostenibilità dei costi imposti dall’agricoltura industriale, in termini sia economici che ambientali.
Francesco Bevilacqua - 20/02/2009
Fonte: Terranauta.it
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Una figura assai particolare quella di Wendell Berry. Poeta, saggista, docente universitario e agricoltore. Tante anime che coesistono nello stesso personaggio, in una convivenza apparentemente inspiegabile, ma che dopo averlo conosciuto meglio e soprattutto dopo essersi liberati del paradigma con cui ci ha indottrinati il pensiero moderno - quello della cultura e del sapere specializzato e monotematico - sembra quasi naturale in quest’uomo.
La ponderazione, la chiarezza e la sicurezza con cui scandisce le parole lasciano trasparire un carattere forgiato dal rapporto paritario e simbiotico con la natura, l’adattamento ai tempi del suolo, il riconoscimento di essere parte di un unico organismo che vive e respira al ritmo delle stagioni, senza tempi artificialmente contratti in funzione delle esigenze industriali e intensive del mondo attuale, votato alla produzione e al consumo immediato.
La padronanza e la convinzione delle proprie idee si palesano nell’approccio divulgativo che egli usa, sempre seguendo un filo conduttore dettato da una logica interiore, lontana dalle etichette, dalle strumentalizzazioni e dalle forzature delle idee forza del pensiero odierno - la maggior parte delle quali sono asservite alle logiche produttivistiche e ne diffondono il verbo - ma forte anche di una certa indipendenza nei confronti dei movimenti culturali alternativi, rispetto ai quali Berry - pur condividendone gli assunti - rivendica un’autonomia concettuale.
Abbiamo conosciuto Wendell Berry a Forlimpopoli, in occasione della sua visita in Italia per ricevere il premio Artusi 2008, assegnatogli lo scorso anno ma che lui non aveva potuto ritirare nell’immediato poiché impegnato in una fase importante della coltivazione dei suoi campi. Mantenendo una promessa fatta allora, ha passato alcuni giorni in Romagna per ricevere il premio e partecipare ad alcuni incontri organizzati da Casa Artusi.
Come ci ha spiegato lui stesso, Berry ha ereditato da suo padre, portavoce dei piccoli agricoltori del Kentucky, la duplice passione per l’impegno politico e culturale a favore dell’agricoltura tradizionale e ciò che lui chiama husbandry, ovvero la cura del suolo, l’accompagnamento della terra.
Berry è particolarmente legato all’Italia poiché è proprio nel nostro Paese che - in occasione di un soggiorno in Toscana, a Firenze, all’inizio degli anni ’60 - ha avuto una sorta di folgorazione, l’intuizione che gli ha fatto capire come la cura della terra debba essere vissuta e praticata in maniera assolutamente e integralmente naturale, senza le forzature proprie dell’industrialismo, ma anche come il paesaggio stesso, che scaturisce da un rapporto corretto e paritario con la natura e con il mondo dell’agricoltura, sia paragonabile a una vera e propria opera d’arte, alla realizzazione della quale hanno collaborato insieme uomo e natura.
Al rientro negli Stati Uniti è cominciato il suo impegno per inverare nella prassi quotidiana ciò di cui si era convinto, impegno che l’ha portato alla pubblicazione di oltre 40 opere di prosa e poesia, fra le quali il famoso Manifesto del contadino impazzito e La risurrezione della rosa, una raccolta di saggi uscita in Italia per Slow Food Editore.
Wendell Berry è fermamente convinto della non sostenibilità dei costi imposti dall’agricoltura industriale, in termini sia economici che ambientali. Questa pratica, infatti, si concentra esclusivamente sulla produzione, obbligando la terra a produrre al costo più basso possibile, contraendo il più possibile i tempi e massimizzando le quantità, spesso a discapito della qualità.
Questo approccio industriale alla coltivazione della terra ha provocato la progressiva distruzione - in termini sia culturali che fisici - della cultura dei padri contadini, completamente estranea alle logiche di ottimizzazione della produzione. In virtù di ciò, è interessante l’esperienza citata da Berry intrapresa da Wes Jackson, iniziata nel 1976 in Kansas attraverso la costituzione del Land Institute, una fondazione che si propone di promuovere la Natural System Agricolture, l’agricoltura praticata attraverso tecniche naturali.
Nella sua trentennale attività, oltre a diffondere i valori e le modalità dell’agricoltura naturale, ha acquisito la forza per diventare un gruppo di pressione politica con la finalità di influenzare - grazie all’appoggio di ambienti accademici, tecnici e di decine di contadini americani - le scelte dell’amministrazione, orientandole verso pratiche sostenibili.
A livello operativo, le argomentazioni portate avanti da questo movimento mirano a modificare anche i tempi legati all’agricoltura. La durata media dei piani agricoli governativi è di circa cinque anni, un lasso di tempo decisamente breve se confrontato con i ritmi della terra ma che diviene quasi troppo lungo nel momento in cui deve rispondere alle esigenze dettate dalla produzione e dalla commercializzazione di prodotti di largo consumo.
Come sostiene anche Berry, la corretta durata di un piano di produzione agricola dovrebbe essere non di cinque ma cinquant’anni! Solo così si riuscirebbe a ricreare - grazie anche all’utilizzo di perennial plants, piante in grado di vivere più di due anni - la stabilità ecologica che l’agricoltura intensiva ha compromesso.
Importantissimo è inoltre l’utilizzo della policoltura - da contrapporre alla monocoltura intensiva - capace, attraverso l’introduzione di molteplici specie di piante e organismi nello stesso terreno, di stimolare la biodiversità.
Wendell Berry è molto chiaro anche quando si tratta di individuare le conseguenze nefaste che l’industrialismo provoca nel mondo dell’agricoltura tradizionale: erosione, tossicità e distruzione della cultura contadina locale sono i tre demoni che essa ha liberato e che i sostenitori di un approccio naturale e sostenibile alla cura della terra si trovano quotidianamente a combattere, in Kentucky, negli Stati Uniti, in Italia e in tutto il mondo.
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