Strage continua. La verità sulle vittime della strada
Intervista con la scrittrice Elena Valdini
Andrea Turetta - 10/12/2008
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Elena Valdini è nata a Piacenza nel 1981. Giornalista pubblicista, ha collaborato soprattutto con “Il Giorno”. Dal 2004 si occupa dei progetti editoriali della Fondazione Fabrizio De André Onlus, per conto della quale ha curato VOLAMMO DAVVERO (Rizzoli/BUR). Ha fatto uscire per Chiarelettere il suo primo libro “Strage continua” che prova a far luce su più di 6 mila morti che avvengono sulle strade italiane ogni anno. Una piaga terribile che annega nell’indifferenza generale. Ecco l’intervista…
Nella prefazione del tuo volume “Strage continua” si parla della situazione che vedi tanti incidenti stradali come una vera e propria guerra. Eppure molti non devono ancora essersi resi conto della gravità della cosa…
Se consideriamo che ogni giorno in Italia muoiono sedici persone a causa di scontri stradali, il silenzio di fatto che cola e cala su questo argomento pare incredibile, incomprensibile.
Quella che è una tragedia sociale viene vista ancora come cosa privata?
C’è un verso di Fabrizio De André in Disamistade puntuale, preciso: “per tutti il dolore degli altri è dolore a metà”.
Ci si indigna per la caduta di un aereo ma ormai non si muove un dito per una tragedia della strada. Siamo diventati insensibili?
Credo che manchi la percezione della portata reale del problema: nel libro ho provato a mettere in correlazione i fatti, dalle leggi che ancora mancano al taglio dei finanziamenti, dalle testimonianze della vittime all’indifferenza, dall’esempio di altri Paesi europei alla nostra mancanza di senso civico… Purtroppo, su tutto, l’indifferenza
Dalla lettura del tuo libro si direbbe sia ormai necessaria una revisione delle Leggi che ad oggi sembrano inadeguate…
In Italia mancano ancora i Centri di assistenza per le vittime e sarebbe necessaria – come evidenziato non solo dall’Associazione italiana familiari e vittime della strada ma anche da magistrati e legali – la modifica all’articolo 111 della Costituzione per dare alla vittima (e ai familiari della vittima) le stesse garanzie che, nell’ambito del procedimento penale, ha l’imputato.
Intanto, ad occuparsi dei famigliari delle vittime o dell’istruzione nelle scuole, sono associazioni di volontari, persone che a loro volta hanno spesso perso dei cari lungo le strade…
L’impegno dei singoli e il lavoro della associazioni è stato in questi anni infaticabile e fondamentale. Credo che chi riesce a trasformare ciò che gli è stato rapinato in un’opportunità per il prossimo, compia un atto di grande civiltà, coraggio, amore e speranza. E’ il lavoro dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada (Aifvs) che è stato (ed è) di costruzione, di composizione, di prevenzione. Lo stesso impegno va riconosciuto all’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale (Asaps) che negli anni ha dato vita al più puntuale osservatorio sulla sicurezza stradale che abbiamo in Italia.
C’è comunque differenza tra il numero di morti lungo le strade italiane ed in quelle di altri paesi d’Europa… quantomeno nel numero di vittime…
L’Unione Europea con il “Programma d’azione europeo per la sicurezza stradale – Dimezzare il numero delle vittime dell’Unione Europea entro il 2010: una responsabilità condivisa” ha dato delle indicazioni precise e, parlando di una “responsabilità condivisa”, ha usato parole ancora più puntuali. Molti stati sono già intervenuti massicciamente, mentre a noi viene risposto che potremo raggiungere il 30 per cento di vittime in meno, non il 50… Negli ultimi dieci anni, l’Inghilterra è passata da 9mila vittime a 3mila, questo già nel 2002… In Francia vengono fatti 5 milioni di controlli, mentre in Italia se ne sono contati 200mila nel 2006, 800mila nel 2007 con l’ambizione di effettuarne 2 milioni nel 2008.
Quanto pensi possa fare un maggior grado di istruzione ma anche di rispetto da parte degli automobilisti?
Moltissimo. Condividere la responsabilità è proprio questo: ciascuno deve fare la sua parte. Il rispetto delle regole è fondamentale.
C’è poi da dire che anche chi ha provocato delle vittime, si ritrova dopo poco tempo a riavere la patente e a circolare liberamente per le strade…
Purtroppo il senso d’impunità pesa moltissimo. Dovremmo provare a metterci nei panni di una coppia di genitori che, dopo avere perso il proprio figlio in uno contro stradale, devono confrontarsi con pene che vengono sospese (con il patteggiamento si ha la riduzione di un terzo della pena che viene sospesa se il reo è incensurato) e con patenti che vengono restituite con grande facilità. Per molti anni si è andati avanti con pene tutto sommato miti: sono mancate sentenze esemplari che servissero come deterrente.
Rimane comunque la triste considerazione che le associazioni di privati sembrano più attive dello Stato…
Ne parlavamo prima: le associazioni hanno costruito in questi anni una boa nel mare delle assenze. Se qualcosa sta cambiando lo dobbiamo principalmente a loro.
Nel tuo libro racconti anche le storie di chi, dopo un incidente si è ritrovato a rialzarsi, a riprendere la vita di sempre magari su di una sedia a rotelle… Una grande forza la loro…
Sono stata in uno dei due centri di Unità spinale dell’Emilia Romagna, precisamente a Villanova sull’Arda (l’altro si trova nel bolognese, a Montecatone). A parte le infermiere e il primario, tutte le persone che ho incontrato erano su una sedia a rotelle, ragazzi giovanissimi, poco più che ventenni. Ho chiesto di incontrare persone che avessero già concluso il percorso di recupero e in loro ho riscontrato una straordinaria capacità di elaborazione del lutto e di accettazione delle nuove condizioni. Testimonianze coincidenti nelle risposte date in merito a quanto sia poi cambiata la percezione della strada e dei suoi rischi. Quello che mi è soprattutto rimasto impresso dalle loro parole è la precisione nella consapevolezza dei loro diritti e doveri. Cecilia, nello specifico, ha usato queste parole: “Noi abbiamo un diritto e un dovere: il diritto è quello di ritornare a vivere e il dovere lo abbiamo da subito nei confronti dei nostri familiari: si chiama rispetto; e il rispetto nei confronti dei nostri familiari lo dimostriamo facendo loro capire che siamo noi i primi ad accettare quello che è successo. A questo si aggiunge che dobbiamo avere una delicatezza speciale perché chi non ha conosciuto una disabilità non sa, non può capire che cosa significa, quindi dobbiamo essere noi i primi a far capire di che cosa c’è bisogno e renderci accessibili agli altri”.
Pochi poi pensano ai danni che si possono provocare ai famigliari delle vittime, i quali devono penare non poco per vedere riconosciuto qualcosa che lenisca il loro dolore.
Premesso che nessuna cifra potrebbe mai risarcire la perdita di un figlio o di un genitore, moltissime famiglie hanno bisogno di un ristoro immediato: pensiamo solo a quei casi in cui viene a mancare il capofamiglia. Parallelamente occorre intervenire sulla celerità dei processi: in questi casi i procedimenti dovrebbero conoscere una trattazione prioritaria.
A questo proposito vorrei anche sottolineare che il senso civico di ciascuno di noi, in strada, passa anche attraverso l’assicurazione della macchina. C’è un reato che corre in strada e che sta esponenzialmente aumentando: la contraffazione dei contrassegni assicurativi. Non pagare l’RCAuto oppure falsificare il contrassegno, oltre a essere un reato, porta l’eventuale vittima a vivere un calvario inimmaginabile per ottenere il risarcimento.
C’è speranza che le cose in futuro cambino in meglio e si possa se non altro, vedere un numero molto più basso di incidenti stradali?
In questi mesi di scrittura e ricerca mi sono ripetuta molte volte una frase della presidente dell’Aifvs, Giuseppa Cassaniti Mastrojeni: “I tempi sono maturi perché qualcosa cambi nella giustizia e nell’assistenza alle vittime” e ci credo fermamente. Ho incontrato molti addetti ai lavori e, per quanto non esista una ‘ricetta’, tutti hanno posto l’accento sulla centralità dell’educazione civica e stradale nelle scuole, sin dalla prima età scolare. A questo si aggiunge di nuovo il concetto di “responsabilità condivisa” che deve essere riconosciuto e praticato anche dalle nostre istituzioni: se lo Stato vuole realmente intervenire, dovrebbe lavorare ‘a pacchetto’, vale a dire fare un lavoro organico perché non basta inasprire le pene se poi si tagliano i fondi alla sicurezza stradale. Non bastano le campagne di sensibilizzazione se poi ai ragazzi anche a scuola, soprattutto a scuola, non s’insegna la sicurezza e il rispetto delle regole.
Si ringraziano per la gentile collaborazione l’autrice e Chiarelettere.
Fonte: www.babylonbus.org.
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