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L’impronta leggera del Basilico

Ecologia sociale, decrescita e permacultura: essere responsabili delle proprie scelte per essere consapevoli del proprio potere

Valerio Pignatta - tratto da CONSAPEVOLE 12 - 11/12/2007




La natura imbavagliata, espropriata dei suoi diritti, monocoltivata, livellata, avvelenata e “ingozzata” (sovralimentata a forza), non può essere un partner paritetico dell’uomo.
Dev’essere ripristinato il rapporto personale diretto con la natura, a tu per tu.
Troppo a lungo abbiamo vissuto secondo la massima: assoggettiamoci la natura. Ora è arrivato il momento di ritirarci da questa via sbagliata, mettendoci noi stessi al di sotto della natura, avendo cioè la natura sopra di noi – natura intonsa – invece di spianarla e distruggerla

Friedrich Hundertwasser

Che cosa significa essere responsabili delle proprie scelte? Facciamo un esempio: «Nel mio negozio io adopero un gabinetto regolarmente collegato ad una fossa biologica, che versa i suoi reflui in una fogna collegata a un depuratore. Se il depuratore non riesce a trattare efficacemente tutti gli scarichi che gli arrivano (situazione abbastanza comune su tutto il territorio nazionale), non solo non sono considerato responsabile, ma neanche mi sento responsabile».
Come dobbiamo dunque intendere i concetti di responsabilità e consapevolezza?
L’associazione di volontariato “Basilico” ci ha aiutato a dare risposta a questa domanda. L’associazione è nata nel 2002 con l’obiettivo di sostenere la creazione di eco-villaggi, diffondere i metodi dell’agricoltura naturale e della permacultura, praticare stili di vita ecologici. Nel suo ambito sono in corso due progetti di insediamenti sostenibili in Toscana, a Corricelli (Prato), e a Novoli (Lecce). Abbiamo incontrato i rappresentanti dell’associazione per capire cosa significa vivere praticando la permacultura e soprattutto, assumersi la responsabilità delle proprie scelte.

Il vostro gruppo sta vivendo un’esperienza particolare in mezzo alla natura, lontano dai ritmi della società industriale e dal vertiginoso consumismo che essa impone. Allo stesso tempo questo appartarsi prevede un impegno di cambiamento propositivo e non una mera fuga dal mondo. Ci puoi raccontare come nasce e cosa persegue il vostro progetto comunitario?
Stiamo costruendo insieme ad altre realtà simili una rete sempre più fitta; abbiamo una vita sociale più intensa di prima, con il volontariato, nei rapporti con le istituzioni, nell’agire quotidiano; un sacco di gente viene a trovarci. Cerchiamo di vivere in presa diretta la nostra appartenenza alla Terra, sperimentare strategie di sopravvivenza in accordo col nostro territorio, alleggerire la nostra impronta ecologica, ridurre costi e consumi, mostrando che è una via verso il benessere. Prodursi il proprio cibo, costruirsi le proprie abitazioni, curare il proprio luogo in armonia con gli altri esseri che ci vivono, può essere molto più gratificante che vivere in modo consumistico, sapendo che si sta tirando troppo la corda. Cerchiamo di verificare la nostra convinzione che l’autosostentamento, può essere il motore per un’economia (in senso etimologico) locale. In cima alle nostre priorità ci sono: cibo sicuro, casa confortevole e “pulita”, relazioni umane soddisfacenti. Noi viviamo in un bel posto, mangiamo cose buone, condividiamo l’esperienza con esseri umani che stimiamo, il lavoro ci fa sentire realizzati perché coincide con la vita, abbiamo il tempo libero perché si è liberato mettendo in pratica le nostre scelte ideali; inoltre la nostra rete offre tantissime occasioni di conoscere altri luoghi e altre esperienze. C’è poi il fare politica, l’impegno sociale, e questo è già in ogni passo che facciamo.
Queste considerazioni però non tolgono nulla al “diritto alla fuga”, alla libertà che l’essere umano deve poter esercitare, di allontanarsi da un ambiente mortifero; basta che non vada a ricrearlo altrove.

Ecologia sociale, decrescita e permacultura sono in un certo senso le parole chiave che inscrivono il vostro operato e che contraddistinguono i lavori che portate avanti (corsi, seminari, realizzazioni pratiche). Come si intrecciano queste tre diverse intrepretazioni sociali, politiche e ambientali? Ossia come le avete tradotte in concreto nella vostra quotidianità?
A Corricelli viviamo in un vecchio insediamento di tipo mezzadrile abbandonato negli anni ’60, di cui la natura, sia domestica che selvatica, ha ripreso possesso.
Il bosco è il nostro bagno ambientale e la comunità ecologica la nostra famiglia. Partecipiamo come animali ai suoi processi di vita e il boccone avvelenato, la fucilata o il rumore delle motoseghe, ci fa rizzare le orecchie e i peli. Più che conoscenze e idee ci sembra di sviluppare emozioni e istinto, e molta osservazione. Progettiamo l’insediamento usando i criteri della Permacultura che prevede una buona conoscenza del luogo (comunità ecologica, ambiente fisico, atmosferico e sociale) e di chi si progetta in questa situazione ambientale. In questo contesto viviamo già da tre anni, in situazioni abitative comode, ma molto precarie: due roulottes, una palafitta di 6 metri per 9 senza pareti, che funge da cucina e spazio comune (in inverno ne chiudiamo una piccola parte con teli di plastica per sopportare il tempo rigido), e una palafitta di 4 metri per 8 tamponata in balle di paglia e intonacata internamente con argilla. Le palafitte sono biodegradabili e riciclabili in pochi anni. Questa “urbanistica” (baracche da cantiere, in gergo burocratico) è più un riparo dagli agenti atmosferici, più un accampamento di nomadi che le fondamenta di una struttura stabile: è un facilitatore simbiotico vivificante.
La ristrutturazione del casale è solo una parte delle ragioni dell’insediamento, e ci permette di intensificare la ginnastica comunitaria – quando si tratta di soldi, spazi, estetica – di riappropriarci della progettazione, della costruzione e della circolazione di saperi: favorisce le attività artigianali, diventa luogo di incontro di energie fisiche (edilizia bioclimatica) e umane (dinamiche sociali), di sostenibilità e diversità.
Ci finanziamo con il lavoro esterno saltuario e utilizziamo una parte del nostro tempo come volontari, per aiutare altri gruppi o situazioni. Dunque niente surplus, niente accumulo. Il nostro sito web è pensato come servizio e dialogo. Non andiamo di fretta e non ci interessa prevedere quale sarà la forma realizzata della nostra utopia che poggia su “responsabilità” (Mollison), “saggezza” (Roegen) e buon senso, non su una forma pianificata ideologica o confessionale. I nostri metodi non sono lineari né impermeabili, anzi ci interessa la prassi del cambiamento con “la chiarezza del perché” (Bookchin). I nostri punti di partenza sono quello che siamo ora.
La vita collettiva a Corricelli poggia su: autonomia, mutuo soccorso, cassa comune, metodo del Consenso. Abbiamo organizzato una squadra di lavoro esterno che si dedica all’ambiente, dove tutti sono alla pari; nello scambio dei saperi sviluppiamo la passione per quello che si fa, la responsabilità delle proprie scelte, la curiosità, la pratica comunitaria.
Investiamo in abilità fisica e manuale e in conoscenze anziché in attrezzature e infrastrutture pesanti, per non essere obbligati a costruire un insediamento con metodi distruttivi e conflittuali.
I corsi di formazione che organizziamo seguono i bisogni e le fasi del progetto: non si fanno né per puro piacere, né per lucro. Per la costruzione della nostra casa di paglia abbiamo seguito un corso con Barbara Jones presso la Boa di Paglia, nel fare abbiamo sentito la necessità di conoscere le tecniche della carpenteria a incastro perfetto.

In cima alle nostre priorità ci sono: cibo sicuro, casa confortevole e “pulita”, relazioni umane soddisfacenti. Noi viviamo in un bel posto, mangiamo cose buone, condividiamo l’esperienza con esseri umani che stimiamo, il lavoro ci fa sentire realizzati perché coincide con la vita, abbiamo il tempo libero perché si è liberato mettendo in pratica le nostre scelte ideali

Tra pochi giorni inizierà da noi un corso su questo tema, di cui forse vale la pena elencare le ragioni: dobbiamo rimpiazzare le due roulotte con delle capanne, di cui una sarà una falegnameria per costruire porte, infissi, mobili, possiamo reperire il legname proveniente da un taglio di castagno fatto l’anno scorso da un’azienda forestale a pochi chilometri da noi, utilizziamo attrezzature leggere, dobbiamo rifare tutta la carpenteria del casale, vogliamo imparare a manipolare travi di legno senza gru, abbiamo l’opportunità di dividerci il costo della docenza con altre persone interessate all’autocostruzione, ci interessa continuare a muoverci sul filo della socializzazione e dell’esperienza organizzativa delle sinergie. Dopo di che si avvicinerà il momento di affrontare gli aspetti energetici del casale, l’ingegneria naturalistica del ciclo delle acque, e così via.

La permacultura oltre che una meravigliosa soluzione per quanto riguarda un’agricoltura ecosostenibile è anche, e sempre più, una filosofia di vita. So che voi realizzate degli orti circolari sinergici molto funzionali. Ci potreste raccontare la loro storia, come vengono realizzati e quali finalità ambientali, sociali e alimentari possono arrivare a soddisfare?
Gli orti sinergici non sono necessariamente circolari, ma spesso le aiuole vengono disposte in un disegno a linee morbide, a spirale, a onda, secondo il gusto di chi li crea, e per assicurare una varietà di esposizioni. Si evita l’aratura, la concimazione e qualunque altro tipo di disturbo del suolo. Una volta eseguito il movimento di terra iniziale, la sistemazione sarà permanente e il terreno non verrà più toccato, tranne che per seminare, raccogliere, trapiantare, diserbare a mano. In ogni aiuola si seminano o trapiantano almeno tre famiglie diverse di piante e il terreno si tiene sempre coperto con un leggero strato di materiale organico, paglia per esempio. Le aiuole non vengono mai calpestate né compattate in alcun modo, le piante non si sradicano per raccogliere, ma si tagliano alla base lasciando nella terra le radici. Dopo un po’ di tempo sarà possibile vedere nell’orto piante di età diverse: giovani, giovanissime, mature, vecchie, fiorite, già compostate, appena nate, come in una società sana, dove si convive e interagisce e si collabora fra individui di età diverse, nel rispetto della reciproca diversità

Se doveste dare dei suggerimenti pratici a chi volesse avvicinarsi a questo tipo di agricoltura cosa gli consigliereste come primo approccio?
Un’attenta osservazione degli elementi che caratterizzano il proprio sito, mettersi in gioco nella sperimentazione continua, andare ad aiutare chi già coltiva con questo metodo, per scambiare esperienze e vedere come si evolve questo tipo di orto.

“Assumersi la responsabilità delle proprie scelte” è in sostanza il messaggio base di Bill Mollison, che è in un certo senso l’ideatore della permacultura. Come tradurreste per i non addetti ai lavori questo input e come pensate che questo atteggiamento possa svolgere un ruolo importante a livello individuale e collettivo per far fronte ai drammatici problemi ambientali e sociali che stiamo vivendo?
Il principio di responsabilità delle proprie scelte così come lo si intende in permacultura è diverso da come lo si vive comunemente: codici scritti talmente complessi che richiedono l’esistenza di professioni apposite (giudici e avvocati) e un ramo di affari immenso per le società di assicurazione, quello della responsabilità civile.
Pensiamo a una situazione del genere: se io sono il proprietario di un negozio, e una persona scivola all’interno del mio negozio rompendosi una gamba potrei essere ritenuto responsabile civilmente dell’incidente ed essere costretto a risarcire il malcapitato.
Se nello stesso negozio adopero il mio gabinetto, regolarmente collegato ad una fossa biologica, che versa i suoi reflui in una fogna collegata a un depuratore che non riesce a trattare efficacemente tutti gli scarichi che gli arrivano (situazione abbastanza comune su tutto il territorio nazionale), non solo non sono considerato responsabile, ma neanche mi sento responsabile.
In permacultura io non posso far finta che i depuratori funzionino e ignorare semplicemente la situazione, è mia responsabilità fare in modo prima di tutto che i MIEI reflui non finiscano nei fiumi. Nel caso specifico potrò fin da subito diminuire la quantità di acqua che butto nel gabinetto, attivarmi perché anche a livello collettivo il problema venga seriamente e concretamente preso in esame, valutare altri modi per evitare che il MIO sporco vada ad inquinare i fiumi.
In altre parole è mia responsabilità innescare un processo che porti alla soluzione del problema, agendo e non chiedendo ad altri di agire.
Durante le prime fasi dell’insediamento sul territorio di Corricelli ci siamo trovati a risolvere il problema dello scarico delle acque di lavaggio. In permacultura c’è un altro principio che recita: «Per cambiare una situazione negativa in una positiva l’80% delle azioni sono relativamente facili da attuare il 20% sono di difficile attuazione. Inizia da quell’ 80% senza farti fermare dalla consapevolezza che non otterrai un risultato perfetto». La prima azione che potevamo fare era quella di non inquinare quest’ acqua con sostanze nocive. Abbiamo quindi cercato saponi completamente biodegradabili, fino a trovare prodotti sulla cui produzione avessimo conoscenza diretta, senza delegare la responsabilità all’etichetta.
In seguito via via che si costruivano le strutture per vivere, si è migliorata la struttura che serviva a gestire lo scarico, tanto che questo si è trasformato da problema in risorsa. Adesso lo scarico della cucina ci consente di crescere piante idrofile durante la fase di filtrazione e di irrigare l’orto successivamente, il tutto utilizzando tecnologie e materiali di una semplicità estrema. Non c’è stato bisogno di esperti o impianti: abbiamo ben chiaro che la nostra presenza su quel territorio ha un impatto e che questo può e deve essere considerato e valutato nel tempo, in modo che sia un impatto positivo. Queste azioni hanno anche un impatto sul sociale perché le persone vedono quello che fai e come lo fai ed è proprio sul piano dell’esempio che maggiormente agisce la responsabilità.
Anche le istituzioni, almeno a livello locale, subiscono l’influenza di un comportamento basato sulla responsabilità nei confronti delle leggi naturali. Il nostro toilette compost, in un primo tempo “viveva nella clandestinità”: un esperto ci aveva consigliato di farlo passare per un gabinetto chimico, che normalmente viene autorizzato.
Ma ci siamo ribellati abbastanza presto a questa logica, che nonostante tutto ci pervadeva, e abbiamo ufficialmente dichiarato l’esistenza del toilette compost spiegandone chiaramente il funzionamento e prendendocene la responsabilità. Adesso abbiamo ricevuto parere favorevole dalla ASL per realizzare gabinetti a secco anche all’interno delle abitazioni che andremo a ristrutturare, senza incontrare resistenza. Diciamo questo per evidenziare che la necessità di cambiamento non è sentita solo da personaggi strani a cui piace vivere nei boschi, ma anche da persone che vivono e lavorano all’interno delle istituzioni e che sono pronte a recepire nuove idee e comportamenti che li facciano uscire dai vicoli ciechi della prassi vigente.
Riconoscere le proprie responsabilità significa anche riconoscere il proprio potere, il potere di fare azioni che abbiano conseguenze positive, come ridurre l’impronta ecologica, far conoscere e apprezzare modi alternativi di socialità, favorire la decrescita del PIL, promuovere un cultura che faccia dell’uomo un elemento della natura e non il signore e padrone del creato.


Associazione Basilico
Ha dato vita nel 2003, in collaborazione con altre associazioni, alla Scuola di Agricoltura Sinergica “Emilia Hazelip”. È attiva nella rete RIVE (Rete Italiana Villagi Ecologici) e nell’Accademia Italiana di Permacultura.
Per informazioni:
www.associazionebasilico.it e www.agricolturasinergica.it

 

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