Il mutamento climatico dell’informazione
Carlo Bertani - 20/05/2007
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Non passa giorno che l’informazione di regime non ci propini il solito bollettino di guerra sul mutamento climatico: oggi la penuria d’acqua, domani le previsioni apocalittiche sul prossimo secolo, dopodomani la lista delle città che spariranno sott’acqua.
Prima d’entrare nel merito della questione, salta agli occhi (e puzza) questo improvviso interesse per un fenomeno che – fino all’altro ieri – veniva praticamente negato.
Stanno cercando di recuperare il tempo perduto, giacché sul Web se ne discute da anni: troppo tempo trascorso a seguire il Festival di Sanremo ha fatto loro sfuggire la grande notizia. Oggi trattano la cosa con lo stile di sempre: scenderanno gli orsi polari! Saliranno le balene! Il festival del mutamento climatico.
Forse, la “molla” che ha scatenato l’interesse dei media è stata la scorsa stagione invernale: mesi nei quali temperature quasi primaverili ha spodestato freddo e neve. E qui compiono il primo errore.
Il prossimo inverno potrebbe rivelarsi rigido, ventoso e nevoso, ma non per questo indicherebbe l’inesistenza del mutamento climatico: clima e meteorologia sono legati, ma sono fenomeni distinti!
La confusione dell’informazione di regime ha mostrato tutta la sua insipienza quando l’Insetto ha deciso d’affrontare l’argomento: dopo aver invitato fior d’esperti, ha occupato mezza trasmissione a setacciare le previsioni meteorologiche per la prossima estate.
C’è l’evidente necessità di non allarmare troppo la popolazione, e allora si passa alla gestione “casereccia” del mutamento climatico: signora, da lei fa caldo? Un caldo asfissiante, dottor Vespa. Eh sì, c’è il mutamento climatico. Ha comprato un climatizzatore? Ne abbiamo cinque, dottore. Eh, va beh…passerà anche questo mutamento climatico…
Lasciamoli sulla loro strada, che porta – come sempre – al deserto: nel deserto c’è tanta sabbia, e la sabbia serve per coprire ciò che non fa comodo rivelare…oh come serve…
La seria “querelle” del mutamento climatico parte da due posizioni: chi lo ammette e chi lo nega. Chiariamo che nessuno è in grado di dimostrare niente: non esistono modelli del clima in grado di definire, senza ombra di dubbio, cosa capiterà al mutare di una variabile.
La scienza si nutre di certezze, non di mezze verità e, in questo frangente, non ha una legge, equazione o modello dinamico sufficientemente preciso per interpretare un sistema chimico-fisico-biologico enorme e complesso come l’intero pianeta.
Tuttavia, ci sono alcuni “punti fermi” sui quali sarebbe meglio riflettere: non sappiamo quali potranno essere gli effetti dello scioglimento dei ghiacci polari, però quei ghiacci si stanno sciogliendo ad una velocità che non è quella degli scorsi decenni.
Sappiamo che alcuni gas, come l’anidride carbonica, riflettono la radiazione infrarossa e ne impediscono la riflessione verso l’infinito: non sappiamo fino a che punto questo fenomeno può influenzare il clima, ma sappiamo che per 20 milioni di anni la concentrazione della CO2 nell’atmosfera è stata compresa fra 170 e 280 PPM(1), mentre oggi è di 376 ed aumenta di 1,5 PPM l’anno.
Gli scienziati affermano, per l’Europa, che la tendenza per i prossimi decenni sarà l’aumento delle precipitazioni nelle aree settentrionali e la diminuzione in quelle meridionali. Alcuni dati sembrano confermare l’affermazione: le recenti alluvioni nell’Europa Centrale, la tempesta (o uragano) Kyrill dello scorso Gennaio è stata un fenomeno nuovo e praticamente sconosciuto a quelle latitudini. Inoltre, la carenza idrica italiana non è più “un’emergenza” – intendendo con il termine un evento eccezionale – poiché da anni le sorgenti stanno diminuendo le loro portate, segno che le falde acquifere sono meno ricche d’acqua.
Ci sono altri, innumerevoli segnali che qualcosa sta cambiando: l’aumento dell’energia delle tempeste tropicali, lo sconvolgimento delle migrazioni degli uccelli, delle mute del pelo negli animali…insomma, un quadro d’indizi sui quali non si possono enunciare teorie, ma che dovrebbe far riflettere.
Siamo abituati a ricevere dalla scienza risposte certe: oggi, non digeriamo che la scienza possa tracciare delle ipotesi ma non riesca ad andar oltre. Non per questo bisogna arrendersi: ricordiamo che – per secoli – l’antitesi al pensiero scientifico fu il dogma. La scienza sarà pure una strada piena di buche, ma l’alternativa è accettare per oro colato le esternazioni di chi urla più forte.
Ci sono però delle voci discordanti, poiché non ritengono – correttamente – che il quadro degli indizi sia sufficiente per sostenere che un mutamento climatico generato dall’uomo sia in atto. E’ giusto ascoltare tutte le voci e dibattere, altrimenti torneremmo ai tempi di Galileo.
Una “corrente” di pensiero afferma che il mutamento climatico esiste ma non è da imputare all’uomo, bensì a cause naturali: secondo queste ipotesi, due secoli d’anidride carbonica generata dalla combustione dei fossili (carbone, petrolio e gas) non hanno significato, poiché il ciclo del Carbonio naturale ha “numeri” enormi.
Sostengono inoltre – e a ragione – che la Terra, in ere molto lontane, ha conosciuto mutamenti climatici di ben altra natura: sono dati assodati, ed i paleontologi affermano – sulla base dei ritrovamenti fossili – che aree oggi fredde hanno goduto di clima tropicale, e l’opposto.
Sono verità sacrosante: pensiamo alle glaciazioni od al molto probabile adattamento d’animali tropicali – la tigre siberiana, ad esempio – ai climi freddi.
Come i sostenitori del mutamento climatico d’origine antropica, anche coloro che lo negano non possono dimostrare nulla: non si va oltre – in entrambi i casi – ad un quadro d’indizi, e sappiamo quanto siano forieri d’errori giudiziari i processi che si basano su indizi e non su prove e testimonianze dirette.
Un marginale “mutamento” naturale – ipotizzando l’aumento del livello dei mari di un metro, fatto quasi insignificante nello svolgersi delle ere geologiche – porterebbe alla scomparsa di Manhattan, del Bangladesh, dell’Olanda, di Venezia, ecc. In altre parole, un mutamento – naturale o generato dall’uomo – che conducesse a simili trasformazioni, metterebbe seriamente a rischio la sopravvivenza della specie, perché sarebbe accompagnato – contemporaneamente – dalla desertificazione d’ampie aree del pianeta.
Nessuno può però negare che l’uomo, immettendo nell’atmosfera miliardi di tonnellate d’anidride carbonica, compie un atto che modifica nella stessa direzione gli eventi: il mutamento “naturale” e quello “artificiale” andrebbero a sommarsi.
Ciò che insospettisce sono spesso le “soluzioni” prospettate per non emettere CO2: il ritorno al nucleare.
Ora, il nucleare non è l’anticamera dell’Inferno, ma la stessa IEA(2) afferma che la quantità d’Uranio disponibile nel pianeta è valutata in 40-80 anni, secondo i costi d’estrazione e di raffinazione del minerale, che determinano ovviamente differenti costi di produzione del KW elettrico.
Stupisce osservare che, se da un lato si scomodano ere geologiche lontane centinaia di milioni di anni per sostenere che la Terra ha avuto climi torridi o gelidi, dall’altro si propongano “soluzioni” che non vanno oltre il secolo: due “scale” del tempo molto diverse.
Inoltre, come non considerare che negli ultimi due secoli abbiamo estratto e bruciato l’energia immagazzinata nei fossili in milioni d’anni? Carbone, petrolio e gas sono – in definitiva – energia solare “condensata” naturalmente durante intere ere geologiche. Il carbone – durante il Carbonifero – era foresta: come cresce una foresta? Grazie all’energia del Sole.
Affermare che l’aumento di 1,5 PPM l’anno della CO2 sia un evento del tutto naturale – dopo “l’indigestione” degli ultimi due secoli – ci sembra alquanto azzardato anche se, e questo vale per tutti, ci muoviamo sempre in un quadro d’indizi.
Forse – se siamo ancora in tempo per trovare una soluzione – sarebbe meglio attuare rapidamente piani di risparmio energetico ed attrezzarci per ricavare l’energia che ci serve dal mondo naturale: le tecnologie ci sono, basterebbe attuarle. In altre parole, l’elementare principio di prudenza dovrebbe avere il sopravvento sulla gazzarra delle previsioni basate su semplici indizi.
Un’altra posizione sostiene invece che l’intero sistema solare si sta riscaldando, e porta come prove lo scioglimento delle calotte polari di Marte e l’innalzamento della temperatura su Plutone. Contemporaneamente, affermano che la radiazione solare è diminuita del 22% negli scorsi decenni – altre fonti sostengono che è rimasta costante – e ne deriva un quadro assai contraddittorio.
Pur ammettendo che questa ipotesi dovrebbe essere approfondita e studiata con attenzione, sorge un dubbio: incontriamo enormi difficoltà per stabilire se il riscaldamento della Terra sia d’origine antropica o naturale, e vogliamo sostenere che è l’intero sistema solare a riscaldarsi?
Non siamo in grado di stendere un modello climatico convincente per il nostro pianeta e ci azzardiamo a definirlo per gli altri? Non sappiamo nemmeno – con certezza – se le calotte polari di Marte siano composte d’anidride carbonica o ghiaccio, conosciamo assai poco Plutone e spariamo sentenze?
E poi, chi fornisce i dati? La NASA, ovviamente. Nel mio libro chiarisco come i dati sul mutamento climatico siano stati abilmente artefatti dall’amministrazione USA – legata agli interessi petroliferi, dal Presidente in giù – e dovremmo fidarci ciecamente dei dati comunicati dalla NASA? Quante volte hanno fornito “certezze” per poi smentirsi pochi anni dopo? Non dimentichiamo che la nostra conoscenza sul sistema solare è affidata alle sonde automatiche: qualcosa riescono a comunicare, ma una conoscenza approfondita di quei pianeti l’avremo soltanto con spedizioni umane ed anni di studio. Anche qui, un quadro d’indizi: oltretutto, assai poco convincente.
C’è poi chi sostiene che il mutamento climatico non esiste o è trascurabile, e tutto il clamore che si sta creando attorno ad esso deriva dalle mire geopolitiche delle grandi potenze. L’argomento è interessante e merita d’essere approfondito, anche se è tutto fuor che una novità.
La tentazione di governare gli equilibri maltusiani è forte: sono le teorie “proibite” d’alcuni settori scientifici “vicini” ad un darwinismo estremo e mal interpretato (Darwin fu amico di Marx!), ma è soprattutto il “sogno nel cassetto” delle ex potenze coloniali.
Società con un’età media molto elevata, come quelle europee, osservano di malgrado i loro dirimpettai africani ed asiatici con nugoli di figli, vitali e volonterosi. Se ci riescono, li catturano e li rendono schiavi: come? Fomentando ad hoc mille piccole guerre dimenticate, che carpiscono come sanguisughe le già scarse ricchezze di quei luoghi.
Quando, infine, quei giovani si stancano di sopravvivere in posti dove puoi soltanto sperare di giungere vivo al giorno seguente – senza ammalarti privo di cure, senza morire “sparato”, accoltellato, massacrato in mille modi – e fuggono sui barconi il gioco è fatto: basta modificare il nome delle navi – da “vascello negriero” a “barcone carico d’extracomunitari” – e si scodellano migliaia di schiavi da utilizzare nei lager della morte che chiamiamo “cantieri edili”, oppure nelle piantagioni di cot…pardon, di pomodori, che definiamo “agricoltura estensiva”.
Il gioco riesce bene soprattutto con l’Africa e con qualche paese asiatico e sudamericano, ma non dappertutto la ciambella nasce con il buco.
Da qualche parte, quei maledetti extracomunitari si radicano, scacciano gli squadroni della morte e cercano di vivere normalmente. “Normalmente”, significa lavorare e produrre beni. In qualche posto iniziarono già decenni or sono, costruendo bambole di pezza e giocattoli di legno: “cineserie”, e ci ridevamo sopra.
A forza di vendere bamboline, trovarono i soldi per mandare i figli a scuola – e quelli a scuola ci vanno seriamente, mica come i nostri che, siccome sanno che una “Velina” guadagna cento volte lo stipendio di un ricercatore, non s’ammazzano certo sui libri – e prese forma la loro classe dirigente.
L’istruzione è alla base di questi processi: un amico missionario mi raccontò personalmente come andò la de-colonizzazione della Tanzania. Quando gli inglesi se ne andarono, nel paese c’erano 8 laureati: 7 medici ed un letterato. V’erano inoltre circa 150 diplomati, quasi tutti maestri elementari: non c’era nel paese un solo farmacologo, un geometra, un chimico, un ragioniere…niente. Se si “richiamavano” i maestri elementari per le cariche di governo ed amministrative, veniva a mancare l’importantissima istruzione nei villaggi: non una “coperta corta”, una coperta inesistente.
In alcuni grandi paesi, invece, l’istruzione era ampia e generalizzata: nella meritocratica e stalinista Cina, ma anche nell’India che seppe amalgamare il meglio dei sistemi scolastici inglese e sovietico.
Improvvisamente, un bel mattino, l’Europa – che si beava della sconfitta dell’Orso russo – si svegliò inondata da prodotti tessili, metallurgici ed elettronici costruiti in Oriente. E funzionavano pure. Negli USA, la “novità” condusse milioni di lavoratori al salario minimo sindacale, che supera di poco i 6 dollari l’ora.
Dalla Flint raccontata da Michael Moore, alle nostre ex capitali del tessile e del metallurgico – che chiunque di noi può raccontare – fu un susseguirsi di crolli, di capannoni abbandonati, di ex grandi strutture che diventavano il paradiso dei topi. E le popolazioni s’impoverivano, perché quella del “terziario avanzato” è una colossale frottola, buona soltanto per chi se la vuole bere. Ovviamente, chi progetta beni innovativi e tecnologicamente avanzati avrà qualche possibilità in più, ma – senza una vera industria – si finisce inevitabilmente in una sorta di novella “guerra dei poveri”, nella quale gli attori sono ex ricchi decaduti. I nostri padri sono stati in grado di crescerci con sufficienti agi e (soprattutto) ampie sicurezze: possiamo affermare che stiamo offrendo ai nostri figli le stesse opportunità?
La tentazione di “raddrizzare” il naturale svolgersi di un fenomeno vecchio come il mondo – società giovani e dinamiche che s’impongono su quelle vecchie e decadenti – passa anche per il mondo scientifico e politico. Alla finanza no: ai banchieri, fare soldi in Cina, in Romania od in Francia non muove un capello, sempre soldi sono. L’imprenditoria segue a ruota la finanza, anche se è meno “duttile”, poiché l’imprenditore deve valutare anche altri aspetti, soprattutto quelli legati all’essere umano (inteso come “risorsa umana” efficiente) ed alla logistica.
La “forzatura” del fenomeno è tutta qui: se riusciamo a governare gli equilibri maltusiani, mandiamo all’aria tutti i progetti egemonici di Cina ed India oggi, dell’Iran e del Brasile domani. Per ottenere il risultato, tutto fa brodo: dalla paventata deflagrazione del pianeta a causa dell’incremento demografico (mai avvenuta), al mutamento climatico, ma c’è di peggio.
Edward Luttwak, consigliere di Bush (figlio), verso la metà degli anni ’80 fece un’affermazione sinistra: l’Africa (a quel tempo) ha circa mezzo miliardo d’abitanti, ma per far funzionare le industrie estrattive necessarie all’Occidente basterebbe una popolazione pari ad un decimo. E gli altri? Li dobbiamo mantenere con gli aiuti internazionali. Proprio in quegli anni, l’AIDS scopriva i denti e mostrava quanto era pericolosa. Cosa balenò in mente a Luttwak? Beh…visto che ce li dobbiamo mantenere…se l’AIDS ci dà una mano…
In Italia, l’intervista fu pubblicata dal mensile RID e scoppiò una breve e sopita polemica su quelle esternazioni. Oggi, la situazione nigeriana ci mostra quanto sia esplosiva la convivenza fra le holding energetiche – la solita mentalità da rapina tardo-coloniale – e le popolazioni del luogo.
Le teorie di Luttwak trovarono seguito? Sul piano formale, ovviamente, silenzio assoluto, ma fin quando un’azienda farmaceutica indiana non ruppe il monopolio occidentale dei farmaci anti-AIDS – ed il governo sudafricano di Mandela appoggiò quella via, giungendo ad affermare che, se le esorbitanti royalties richieste dall’Occidente per quei farmaci non fossero state drasticamente abbassate, le avrebbero semplicemente eluse – gli africani morirono a milioni, come mosche, senza farmaci per difendersi dall’infezione “del secolo”.
Oggi le cose vanno un po’ meglio, ma in Africa si continua a morire d’AIDS, come per decine d’altra malattie che da noi si curano con un’Aspirina.
Chi ha questa mentalità – schiavista e razzista – si serve di tutto ciò che trova sul mercato: il mutamento climatico può giovare alla causa? Diamoci dentro.
Nascono allora “verdissime” associazioni per la salvaguardia del pianeta che – guarda a caso – non si curano molto di comunicare che gli USA – a fronte del 5% della popolazione mondiale – consumano il 40% delle risorse disponibili. Utilizzano quell’energia per produrre? Poco e male, giacché gli USA rappresentano oramai una quota inferiore al 20% del commercio mondiale: in altre parole, producono poco e consumano tanto. E s’indebitano.
Le novelle “dame di San Vincenzo” dell’ecologia puntano il dito, invece, sulla Cina, colpevole d’inquinamento selvaggio, dell’assassinio del pianeta.
Ora, è verissimo che i cinesi inquinano, ma sono anche coscienti che dovranno ridurre le loro emissioni nel volgere di poco tempo: altrimenti, soffocheranno da soli. I piani energetici cinesi prevedono, infatti, enormi investimenti – ripartiti equamente – in due settori: nucleare ed eolico (risorsa che possiedono in abbondanza, soprattutto nelle aree settentrionali scarsamente abitate).
Il paradosso è che i cinesi si stanno muovendo nella giusta direzione, mentre gli americani continuano a correre nei loro SUV-panzer, che sono delle idrovore d’energia. Un ulteriore (ed amaro, per noi occidentali) paradosso sarà costatare che i cinesi – quando si metteranno a costruire pannelli solari ed aerogeneratori – li faranno probabilmente migliori dei nostri ed a costi dimezzati. Chiuderemo altre botteghe.
Utilizzare il mutamento climatico per ridefinire gli equilibri maltusiani è un doppio errore: di prassi, poiché si compie un’inferenza non valida, e di scarso pragmatismo, giacché i cinesi non si lasceranno di certo incantare dalle sirene di Al Gore.
Asserire che il mutamento climatico non esiste – ed è solo una “creazione” dei novelli maltusiani – è falso: i “nazi-maltusiani” continueranno a cercare altre vie per perseguire i loro scopi. In questo caso, confondiamo degli aspetti scientifici – non sufficientemente provati, forse, ma seri e documentati – con le esigenze delle elite politiche che vorrebbero scatenare il terrore sul mutamento climatico per i loro, miseri scopi di bottega.
In questo modo, finiamo nella palude dei “neo-maltusiani” e perdiamo di vista la potenziale pericolosità del mutamento climatico.
Sull’altro versante, qualcuno ritiene che, un paese come la Cina – la quale interpreta oramai quasi tutte le moderne tecnologie, ed ha iniziato la sua “corsa” nello spazio – si lasci intimidire da un fantasma politico come Al Gore?
Durante l’ultima visita del presidente cinese negli USA, Hu Jin Tao stette ad ascoltare annoiato le sicumere di un Bush scaduto, sconfitto, evanescente e lo degnò dello sguardo che si offre soltanto ad un miserabile. Mostrò, invece, maggior interesse per Bill Gates e per Microsoft: soldi e tecnologia meritano interesse – sembravano narrare i suoi occhi – gli improperi di Bush, beh…
Nemmeno l’Iran riescono più a toccare, qualcuno – veramente – crede che gli USA s’azzardino a “toccare” la Cina? E poi: ricattandola con l’accusa d’inquinare? Ridiamoci sopra, perché a Pechino – se lo vengono a sapere – non la smetteranno più di ridere.
L’unica soluzione sensata della quale non si deve assolutamente parlare è di cambiare radicalmente il nostro sistema d’approvvigionamento energetico: quello no, non si deve dire. O meglio, se ne deve discutere come si narra d’un mito irraggiungibile, di una chimera evanescente.
Eppure – se siamo ancora in tempo – sarebbe l’unico modo per cercare di “raddrizzare” la situazione: captando energia solare, sottrarremmo energia al “sistema-Gaia” ed eviteremmo d’immettere gas che determinano sicuramente la riflessione della radiazione infrarossa. Scusate, ma questa non è un’ipotesi: è una certezza ampiamente dimostrata.
Invece, in Italia, un ex ministro dell’ambiente – Carlo Ripa di Meana, presidente di “Italia Nostra” – gira lo Stivale per difenderlo dall’invasione degli aerogeneratori, terrorizzando la gente: vi costruiranno un orripilante mulino a vento proprio accanto alla vostra, amata abbazia dell’Annunziata!
Non racconta, per citare un solo esempio, che lo spartiacque ligure-piemontese-emiliano dista dalle spiagge 10-15 chilometri in linea d’aria, che quelle aree sono ventose quasi tutto l’anno e disabitate. Nessuno patirebbe il minimo fastidio od “inquinamento ambientale”, giacché dalla costa sarebbero quasi invisibili: invece, si monta una polemica assurda e senza ritegno. Le centrali termoelettriche a carbone sono un “bene aggiunto” per l’ambiente? No, ma non le vanno certo a costruire accanto alla villa di Ripa di Meana! Questo è l’ambientalismo italiano: spocchioso e straccione allo stesso tempo.
Oggi, Rubbia è tornato a lavorare in Italia – e forse si riuscirà a far partire il solare termodinamico – ma quanti anni abbiamo perduto per le ingerenze (mascherate, ma non troppo) di ENEL ed ENI?
La realtà – che spaventa – è un’altra: il passaggio al sole ed al vento ridisegnerà inevitabilmente la mappa geopolitica del pianeta. Un paese come il Ciad, dove il 99% degli abitanti non sa probabilmente cosa sia una doccia, potrebbe diventare un “gigante” energetico: ricchezza al posto di deserto e morte per denutrizione.
Invece, si punta sul petrolio del Sudan e si tenta di destabilizzare il governo di quel paese – che ha certamente delle responsabilità sul fronte umanitario – per tentare l’ennesima “operazione di polizia” occidentale: immaginiamo quanto siano toccati dai profughi del Darfur ai piani alti dell’ENI, e quanto dal petrolio che c’è sotto terra.
L’unica chance che ancora hanno le holding energetiche è tentare fino all’inverosimile il “congelamento” dell’attuale situazione, energetica e geopolitica, fintanto che nuovi equilibri consentiranno la “spartizione” di sole e vento. Oggi, con le “turbolenze” generate dalla politica statunitense, non c’è un quadro d’accordi sufficiente per definire l’enorme spartizione che deriverebbe dalla ristrutturazione planetaria del “sistema energia”.
Mettiamoci però bene in testa una cosa: hanno già iniziato con la privatizzazione dell’acqua, saranno disposti a lasciarci sole e vento? Meglio, allora, suscitare ogni forma di dubbio sul mutamento climatico: dal riscaldamento del sistema solare ai meteorologi di Vespa, dalle chimere del nucleare ai sofisticati tranelli maltusiani.
A noi – ossia a coloro ai quali vorrebbero far pagare anche l’aria che respirano – non rimane che sbugiardarli ogni volta che ne abbiamo la possibilità, mostrando le loro incongruenze, le falsità, le contraddizioni.
Discutiamo pure su queste teorie, ma non caschiamoci come polli, perché quelli che hanno pronto il girarrosto li conosciamo bene: sono le solite facce che cercano d’imbonirci dal teleschermo.
Note
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Categorie: Ambiente
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