Sì laguna, No MoSE. Le opere alternative
Le opere alternative al MoSE possono essere realizzate contemporaneamente nel loro complesso. Sono interventi “leggeri” che possono essere direttamente sperimentati in laguna senza comprometterne il ciclo vitale.
Maurizio Martinelli - 14/06/2006
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Sì laguna, No MoSE. Le opere alternative
Intervista di Maurizio Martinelli al portavoce dell’Assemblea Permanente NO MoSE architetto Cristiano Gasparetto
Le opere alternative al Mose possono essere realizzate contemporaneamente nel loro complesso. Sono interventi “leggeri” che possono essere direttamente sperimentati in laguna senza comprometterne il ciclo vitale. Sono a basso costo e a basso impatto ambientale. Sono in qualche modo “olistici” perché non agiscono solo sul problema dell’acqua alta, ma prendono in considerazione la laguna come sistema complesso vitale.
Sono da realizzare al posto del gigantesco MoSE: una grande opera dagli enormi costi, dai dubbi vantaggi. Un mostro enti-economico e distruttivo.
Le bocche di porto
Le tre bocche di porto – di Chioggia, Alberoni e San Nicolò – hanno funzioni diverse:
- Chioggia essenzialmente per i pescherecci;
- Alberoni per i traffici commerciali con Porto Marghera (siano questi di trasformazione delle materie prime, siano questi commerciali);
- San Nicolò (cioé Venezia Lido) per il turismo.
Si può intervenire in maniera differenziata sulle tre bocche, applicando però un criterio unico: alzare i fondali.
Si è visto così che si possono alzare di molto i fondali del porto di San Nicolò, al Lido. Questo comporterà un’unica positiva trasformazione, complessa ovviamente, come tutte le cose serie: le immense, spropositate navi che attualmente entrano in bacino d’estate – sono navi crociera, con un’altezza di 30-40 metri – non potranno più entrare. Si costruirà fuori, in mare, davanti al porto attuale, un porto galleggiante (come è stato fatto nel Principato di Monaco, dove è stato costruito in un anno e mezzo). Da lì, i passeggeri vengono trasportati su navi più piccole, entrano in città e possono arrivare dove arrivavano una volta i velieri con le merci: durante la Repubblica Veneta, quando il porto era più per le merci che per i passeggeri, le mercanzie arrivavano non solo in laguna, ma direttamente ai “fondaci”, cioé ai depositi extraterritoriali – arabi, turchi, tedeschi e quant’altri – dove venivano depositate. Si riproduce – in maniera moderna – la possibilità di portare, con mezzi più leggeri, i passeggeri direttamente agli alberghi, alle pensioni – una volta compiuto l’interscambio nel porto galleggiante – evitando tutti quei meccanismi di intasamento di traffico a cui il turismo ha costretto la città.
Questo permetterebbe di alzare il fondale del porto del Lido, portandolo dagli attuali 10-12 metri (dipende da dove viene misurato oggi) a 6-7 metri di profondità, con un’enorme riduzione della portata d’acqua. La bocca del Lido è la più vicina alla città, e quindi più determinante per l’invasione delle acque alte nel centro storico di Venezia.
Per quel che riguarda il secondo porto – quello di Alberoni/Malamocco, anch’esso molto importante – attualmente ha una profondità di 13-14 m. Il progetto Mose prevederebbe di approfondirlo fino a 17 m., per poi riportarlo a 15 m., ma comunque approfondirlo. Lo si può portare benissimo a 12 m., anche fino a 11, a condizione che il fondale resti morbido, e venga fatto in sabbia, come è attualmente, in maniera che possano passare tutte – dico tutte – le grandi navi commerciali che passano adesso.
(Per inciso, occorrerebbe qui aggiungere che esiste una legge – disattesa da 15 anni – che dice che le petroliere non dovrebbero più passare per quel porto. Quindi, o viene dimessa la lavorazione del ciclo del cloro a Marghera – perché Marghera, oltre ad essere una zona industriale è ormai un centro abitato, e in nessuna parte, soltanto in regioni del cosiddetto terzo Mondo, la lavorazione del cloro è attaccata alle case – oppure viene fatta una “peep line”, cioé un prelevamento attraverso un tubo, che prende direttamente il petrolio al largo, e lo porta a Marghera).
Nel caso del Mose, invece, il fondo viene tutto irrigidito da milioni di metri cubi di cemento armato e di grandi massi di pietra gettati sul fondo, per cui non possono lasciarlo a 12 m. ma lo portano a 14-15 m. Anche qui possiamo quindi fortemente ridurre la quantità dell’acqua che entra.
Per quanto riguarda Chioggia, si può guadagnare un metro, un metro e mezzo, lasciando passare tutte le imbarcazioni attuali.
Le navi porta
Questa operazione di alzare i fondali può essere contemporaneamente affiancata dal posizionamento – durante il periodo in cui le acque alte sono più frequenti, in autunno e in inverno – di cosiddette navi-porta: delle navi vuote messe trasversalmente alla bocca di porto, dotate di portelloni apribili che “ingoiano” l’acqua. La linea di galleggiamento della nave si abbassa quando è piena e la nave viene rimossa. Questa operazione riduce ulteriormente la quantità d’acqua. E queste navi-porta potrebbero essere anche posizionate – sempre perpendicolarmente al flusso di marea entrante – all’interno dello stesso canale, creando un “pettine” trasversale, che farebbe perdere potenza all’energia dell’acqua.
L’innalzamento delle strade
Si tenga presente, tra l’altro, che, in questi ultimi anni, in maniera virtuosa, è stata messa in operta una manutenzione della città, ristrutturando tutte le reti dell’elettricità, dell’acqua, del gas e delle fibre ottiche, scavando i canali cittadini e rinforzando le rive che da anni erano state abbandonate. E ove è possibile – dico “ove” perché, quando hai un palazzo storico non puoi modificare l’altitudine della strada, se non in certe situazioni, quindi con un controllo puntuale della Sovrintendenza ai monumenti, che collabora a questa operazione. – si sono rialzate ormai il 60% delle parti più basse della città. E con costi irrisori, perché questo innalzamento di 8, 10,12 cm, è fatto con della sabbia: prima di riposare la pavimentazione di selce, sotto viene messo un letto di sabbia un po’ più spesso. Quindi deve essere calcolato il costo della sabbia, perché tutti i costi per rifare le reti sono costi che ci sarebbero comunque.
L’insieme di questi interventi – il rialzo delle parti più basse, l’abbattimento di 22-27 cm di tutte le acque alte – fa sì che, in 2-3 anni, Venezia abbia 1,2 forse 3 acque alte che invaderebbero per pochi cm e per periodi molto brevi porzioni minuscole della città, poiché la stessa città si è rialzata nel frattempo.
Le valli da pesca
Occorre ancora aggiungere che, tra l’altro, le leggi speciali per Venezia obbligano a riaprire le valli da pesca (e questo è un altro degli elementi assolutamente criticabili dell’operazione politica che sta dietro al problema del Mose). Queste valli sono delle zone amplissime della laguna, dove una volta, e anche adesso, viene fatta la coltivazione del pesce. Nel periodo della Repubblica Veneta queste valli erano separate dal corpo vivo e libero della laguna attraverso dei “cannucciati”, cioé delle griglie di materiali permeabili dall’acqua – in questo caso di canne – in maniera che il pesce non potesse uscire, mentre l’acqua poteva entrare e uscire liberamente. Praticamente le valli non erano separate dalla laguna. C’è poi stato un periodo di privatizzazione selvaggia di queste valli, per cui dei proprietari – persone molto ricche, industriali e quant’altro – hanno per un lungo periodo sostenuto che erano divenute di loro proprietà e le hanno gestite direttamente, facendo delle separazioni con degli arginelli di cemento armato, che rendono praticamente queste zone completamente separate dal corpo della laguna. Questo toglie ulteriore superficie alla libera espansione delle maree in entrata e in uscita. Il che vuol dire che, insieme alle operazioni di bonifica il catino della laguna ha perso, in questo secolo e mezzo, un 20-30% della sua superficie. Attualmente è di circa 550 km2 nel suo complesso.
Occorre quindi: rendere permeabili alle maree le valli da pesca, dove si può continuare a pescare facendo delle transenne come erano fatte una volta, cioé permeabili; fare le opere di rialzamento dei fondali e delle strade più basse della città.
Cosa non fare: la questione “barene”
La laguna è fatta di acqua e “barene”: sono terre formate da sedimenti depositati dalle correnti, che sono variabili nel tempo – dato che le correnti all’interno della laguna non sono sempre le stesse, variano di settimana in settimana, ma anche in tempi più lunghi. Dove le acque depositano questi sedimenti, si formano delle barene, cioé delle zone più alte, che possono uscire dall’acqua o stare sott’acqua. E un particolare tipo di vegetazione ha cominciato a “prendere”. Questi sono gli elementi che rallentare realmente le acque nel loro propagarsi all’interno della laguna, con l’alta marea o quando la marea esce (e che trattengono i sedimenti organici). La dislocazione di queste barene, che sono decisive per la vita della laguna, dipende dal modo in cui avvengono i flussi, dalle loro velocità, dalle direzioni e dalle temperature che ha l’acqua.
Con le grandi modifiche verificatesi in laguna nella modernità le correnti sono state violentate, hanno distrutto praticamente più di un 30-40% delle barene. Allora, siccome si sostiene che le barene sono importanti – cosa vera – il Consorzio Venezia Nuova cosa fa? Prende dei pali di legno – qualche volta addirittura di cemento –, li pianta in una certa zona, all’interno ci mette del tessuto non-tessuto – quello con cui si fanno i manti erbosi, come quelli dei campi di calcio o degli argini in terraferma – ci riversa del fango e costituisce delle piccole isole molto basse, come se queste fossero l’equivalente di una barena! Nel giro di 4-5 anni questi pali vengono consumati, spesso viaggiano pericolosamente in giro per la laguna, ci puoi andare addosso quando giri con la barca e, soprattutto, questo lavoro viene completamente distrutto.
Perché la divisione tra acqua e barena non è un argine. La divisione naturale della barena è una sponda crescente e calante, per cui l’acqua sale lentamente e rifluisce, deposita i suoi materiali , torna indietro e le barene si costruiscono dove le correnti permettono, non a caso! Ebbene: la “sapienza” del Consorzio Venezia Nuova fa passare la spesa di miliardi – com’è effettivamente stato – per queste operazioni come “ricostruzione della morfologia lagunare”.
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Categorie: Economia delle Grandi Opere,Ecologia e Localismo,Ambiente
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