Quella volta che ti sei fermato: la parola ai testimonial
Abbiamo chiesto a personaggi d’eccezione di raccontarci l’esperienza che ha cambiato la loro vita in cui hanno rallentato i ritmi
La Redazione di Vivi Consapevole - 12/04/2017
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Abbiamo chiesto a personaggi d’eccezione di raccontarci l’esperienza che ha cambiato la loro vita in cui hanno rallentato i ritmi.
Neri Marcoré
Qualche anno fa ho detto: «Voglio rallentare e godermi di più il tempo, che spesso rischia di essere soffocato da cose che così vitali non sono». Fermarsi porta ad aumentare la qualità delle cose che ci riguardano e tutto quello che non arriva a quella soglia di qualità lo si lascia andare senza alcun rimpianto. È come se uno costruisse intorno a sé un castello, facendo finta che questo non crolli mai e che tu sia un costruttore perfetto. Il castello ha la forma della tua stessa vita, è sinonimo del tuo successo, delle tue soddisfazioni.
Ma arriva un momento in cui sei il centro di questo castello, che ti ha circondato completamente e che, al tempo stesso, diventa la tua gabbia, la prigione. E se ti accorgi tardi che questo castello non ti permette più di uscire, vale la pena domandarsi se è il caso di sfondare una parete e di uscire fuori dalla prigione e ripartire da un’altra parte, pur guardandolo con soddisfazione perché è stato l’obiettivo dei nostri sforzi passati.
Stefano Bollani
La musica ha bisogno di pause, perché ha una sua struttura, anche quando è improvvisata. Questo significa ascoltare, durante le proprie pause, cosa fanno gli altri, perché mentre tu stai in pausa sei anche concentrato in quello che fai. La pausa significa preparare la frase successiva parzialmente, ma significa anche sederci e riflettere sulla prossima mossa.
Il problema principale di chi vive è che sta sempre a pensare a quello che ha appena fatto e a quello che farà. Suonando, si può riempire un brano di musica classica di errori, senza che nessuno se ne accorga, ma il problema è il primo errore, che diventa un caposaldo per cui mentre suoni pensi costantemente a quello e a quelli che potresti fare.
Per me fermarsi significa prendermi il tempo per accorgermi che esiste solo il presente e che tutto il resto non esiste. Suonare al presente vuol dire non immaginare quello che vuoi fare, ma mettere le mani sul pianoforte e vedere passo dopo passo cosa viene in mente.
Roberto Mercadini
Ricordo una cosa che mi è successa anni fa. Lavoravo come informatico, programmatore software. Le scadenze erano sempre pressanti. E io ero così smanioso di dimostrare il mio valore, così preso dal desiderio di guadagnare la stima dei miei superiori, che le rendevo ancora più pressanti. Una mattina, in particolare, avevo picchiato sui tasti del mio computer a testa bassa con particolare abnegazione.
In pausa pranzo, mentre guido, con la coda dell’occhio, vedo le nuvole. E lì, per un attimo, ho davvero pensato cose del tipo: “Ma chi ha fatto questo lavoro?! Queste cose tutte storte, gibbose, irregolari!”. Poi sono rientrato in me. La verità, ovviamente, era un’altra: le nuvole sono esattamente come devono essere.
Mi sono detto: “Ma allora vedi che il mondo è diverso: è più divertente, più bello, più estroso, più allegro di quello che pensi! Vedi che devi cambiare il tuo modo di pensare, e di vivere! Che devi fermarti, almeno un poco, a guardare le nuvole!”. E così ho fatto.
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Articolo tratto dalla rivista nr. 48
Categorie: Crescita Personale
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