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Possiamo nutrire il mondo?

Cinque esperti danno il loro parere sui metodi migliori di fare agricoltura ecologica

Roberto Pirani - 03/10/2012




«Essenzialmente ciò che la permacultura

fa è di sostituire la potenza del cervello umano

per l’uso massiccio di combustibile fossile

e altre risorse non rinnovabili!»

 

Con la popolazione mondiale che quest’anno arriva a quota 7 miliardi, gli esperti di produzione alimentare si chiedono e discutono sull’inevitabile questione di quanto saremo in grado di nutrire noi stessi nel prossimo futuro. Viste le ineguaglianze nella nostra attuale rete di distribuzione del cibo, la crescente pressione sulle risorse naturali come la terra, l’acqua e i combustibili fossili e lo spettro di un rapido cambiamento climatico, ci chiediamo quale possa essere il nostro meglio… Come possiamo produrre cibo sano in quantità necessarie senza causare ulteriori destabilizzazioni economiche ed ecologiche?

L’approccio biologico: l’eco-intensificazione 

Bethan Stagg, Schumacher College Credo che la risposta sia nell’intensificazione ecologica o sostenibile. Con ciò intendo un approccio per usare il raccolto e i sistemi di produzione concepiti e basati sulle locali condizioni ambientali. Si tratta di usare le naturali interazioni ecologiche e i servizi dell’ecosistema che sono disponibili in determinate aree, come i cicli delle sostanze nutritive, la conservazione e la protezione del suolo, il controllo di parassiti naturali e l’impollinazione selvaggia. Massimizzando e integrando i processi biologici naturali c’è meno spreco, quindi meno bisogno di fattori esterni, come petrolio e concimi chimici e meno danni ecologici. 

Necessitiamo di rendimento maggiore, per cui i sistemi di produzione non sono necessariamente su piccola scala, belli dal punto di vista agrario o estetico. Possono includere costruzioni di serre di dieci acri e produzione agricola in proporzione, ma significa anche adottare un approccio più biologico – progettare sistemi di produzione per ottimizzare i processi biologici e i cicli e le interazioni ecologiche. Certamente avere un suolo vivo è la chiave della eco-intensificazione. Eco-intensificazione non vuol dire che la produzione su piccola scala come i piccoli terreni o gli orti non è importante, ma significa che il sistema deve essere adatto all’ambiente. Se avete un suolo versatile e ottimali condizioni climatiche per la produzione di colture, secondo me è difficile giustificare l’uso di quel sistema per la produzione di cibo a bassa rendita. Non importa se ci sono produzioni multiple all’interno del sistema se la resa globale è bassa. www.schumachercollege.org.uk 

L’agricoltura vera e propria

Colin Tudge, biologo, autore e attivista Diversamente da quanto detto, io credo che non abbiamo bisogno di incrementare la produzione di cibo. Il mondo produce già abbastanza calorie e proteine per sfamare 14 miliardi di persone secondo Hans Herren, il Presidente del Millennium Institute, ma la quantità di cibo prodotta è attualmente orientata verso la massimizzazione della ricchezza piuttosto che verso il bisogno umano. Il modello è di incoraggiare il consumo e quindi di produrre più cibo per abbinarlo. Se ne spreca una gran quantità: nei Paesi in via di sviluppo lo spreco avviene nei campi e a causa della mancanza di infrastrutture come silos per la conservazione; nei Paesi sviluppati si verifica dopo aver raggiunto la casa delle persone (un terzo di tutto ciò che arriva in cucina secondo la FAO, Food and Agriculture Organization). 

In un rapporto governativo del 2011 l’agricoltura industriale era indicata come la via da seguire – aziende agricole sempre più grandi con sempre maggior uso di fertilizzanti, pesticidi, OGM – un grande impegno per l’industria chimica. Ma il buon senso dice – e ci sono molte prove a sostegno di questa tesi – che per essere il più produttivi possibile, sostenibili e soprattutto resilienti agli eventi come un rapido cambiamento climatico, sono preferibili aziende agricole miste. È preferibile anche essere il più biologici possibile per mantenere la naturale fertilità del terreno. Mantenere questo tipo di agricoltura sarà sempre più difficile e quindi il lavoro si rivelerà più duro: non si vuole portare l’agricoltura su scala industriale, si vogliono sempre più aziende semi-biologiche a colture miste. I poteri forti diranno che queste aziende agricole non possono produrre abbastanza, ma la maggior parte delle aziende nel mondo sono in realtà di questo tipo, anche se la maggior parte sono per lo più sottostimate. La maggior parte delle aziende agricole nei Paesi in via di sviluppo potrebbe raddoppiare la propria produzione con un aiuto logistico. Tutto è contro di loro al momento, ma anche così esse producono cibo per il 70% della popolazione mondiale. 

Le piccole aziende miste fanno il loro lavoro! Ad oggi le aziende industriali che attraggono tutti i fondi e gli assegni di ricerca sfamano solo il 30% della popolazione mondiale. Comunque, stanno facendo guadagnare molti soldi a poche persone. 

La domanda secondo me è se possiamo introdurre piccole aziende agricole miste in tutto il mondo. Se lasciamo fare ai governi e alle cooperazioni ciò non accadrà perché non genererà i soldi a cui sono tanto interessati. Quindi dobbiamo farlo noi stessi. Dobbiamo promuovere una campagna in favore di Real Farming (www.campaignforrealfarming.org) con l’idea che si verifichi “la presa di potere del popolo per la fornitura mondiale di cibo”. Nient’altro potrà fare altrettanto. Questa non è una rivoluzione, che per me implica una lotta, ma una rinascita dove decidiamo semplicemente di fare le cose in modo diverso nonostante i poteri costituiti.

Possiamo intraprendere questo rinascimento in tempo? Penso che sia una cosa improbabile, ma è anche l’unica chance che abbiamo. Non possiamo permetterci di lasciare le vite dei nostri figli nelle mani dei grandi decisionisti. Essi hanno già bruciato la loro occasione e adesso non hanno intenzione di cambiare rotta. www.colintudge.com 

Il calcolo del carbone 

Peter Harper, Centre for Alternative Technology (CAT) Il mio interesse risiede nel come possiamo produrre il cibo di cui abbiamo bisogno in un mondo “post carbone”. Tecnicamente, noi sappiamo come decarbonizzare il sistema energetico e ridurre le emissioni di CO2, ma la produzione di cibo emette ancora una gran quantità di altri gas a effetto serra in forma di metano e protossido di azoto. Questi sono causati principalmente dal bestiame da allevamento piuttosto che dalle colture. 

Dal momento che non sembra esserci alcuna “correzione tecnica” per queste emissioni, stiamo studiando le implicazioni dei sistemi di nutrimento del bestiame. Questi hanno assunto la forma di una visione con un vero e proprio piano di sviluppo dello scenario del 2030 in Gran Bretagna – Zero Carbon Britain – nel quale diminuiamo la componente a pascolo dell’80- 90% e incrementiamo l’uso di colture perenni e da seminativi da biomasse. Comunque, i nuovi agricoltori fanno una congettura fra l’agricoltura mista e il bestiame. 

Al momento la Gran Bretagna importa il 40% del proprio cibo sia per uso animale che umano. Nel modello sono importati solo i cibi non essenziali. Ci siamo chiesti, quindi: è davvero credibile? C’è abbastanza cibo ed è salutare? È economico? Migliora la sicurezza del cibo? C’è abbastanza terra? Preserva la biodiversità? Può produrre sia energia e materiali che cibo? Può fornire la propria riserva di carbone? Incredibilmente, la risposta a tutte queste domande sembra essere “sì”. Per esempio, le diete disegnate per la riduzione delle emissioni di diossido di carbonio sono quasi uguali alle diete create per migliorare la salute.

Dato che la frutta fresca e la verdura provocano minori emissioni di anidride carbonica del resto del cibo, formano una parte molto più significativa della “dieta del 2030” che di quella di oggi. Nonostante ciò, c’è ancora bisogno di fonti concentrate di amido, olio e proteine e abbiamo bisogno di vedere attentamente come esse possano essere prodotte e usate. Uno dei principali esercizi sarà quello di progettare e creare nuovi cibi a basse emissioni di anidride carbonica che rimpiazzeranno i beni ad alte emissioni nel presente sistema; l’industria della trasformazione alimentare avrà un importante ruolo in questa parte. www.cat.org.uk 

 

«Dato che la frutta fresca e la verdura

provocano minori emissioni di anidride

carbonica del resto del cibo, formano

una parte molto più significativa della

“dieta del 2030” che di quella di oggi»


Permacultura 

Patrick Whitefield, autore e insegnante Certo che sostengo la permacultura per la futura produzione di cibo! Essenzialmente ciò che la permacultura fa è di sostituire la potenza del cervello umano per l’uso massiccio di combustibile fossile e altre risorse non rinnovabili. Progettare attentamente policolture invece di monocolture è un esempio. Le policolture possono battere le monocolture con l’uso di meno risorse esterne. Ma non sono così adatte al paradigma “fai-un’alta-fila-vendila-a basso-prezzo” dell’agricoltura industriale di cui Colin parla, e non rispondono così bene alle economie di scala o alle estreme maccanizzazioni. Coltivare funghi che consentano alle piante di avere accesso a fosfato naturale del terreno piuttosto che esaurire le scorte di fosfato del suolo è un altro esempio.

L’enorme potere che ognuno di noi ha nelle proprie mani è economico: ciò che non mangiamo non sarà prodotto. E c’è anche l’opzione “coltivalo da solo”. Non è una soluzione completa ma la cosa meravigliosa è che si tratta di qualcosa che possiamo fare attivamente, quando invece tanti dei passi che compiamo per rendere verde la nostra vita è di non fare niente. Nella misura in cui coltiviamo ciò che mangiamo diventiamo produttori piuttosto che consumatori e ciò è molto responsabile. www.patrickwhitefield.co.uk 

Diversità botanica 

John Ellison, Eden Project Sono d’accordo con Bethan sul fatto che non possiamo contare solo su un approccio – devono esserci molteplici approcci. Siamo in una posizione nella quale dobbiamo considerare ogni cosa, dalla monocultura con rese elevate alla produzione in permacultura su scala locale. Qualunque sia il paniere delle metodologie che usiamo, dobbiamo produrre cibo in scala. Se guardiamo le statistiche sulle colture che ci sfamano, ce ne sono circa trenta che rappresentano la maggioranza della fornitura di carboidrati all’umanità, il 60% di questa deriva dalle principali tre: frumento, mais e riso. Siamo già in una difficile situazione in termini di resilienza al cambiamento. La resilienza potrà verificarsi solo se verranno cambiati i sistemi di agricoltura che usiamo in modo che ci sia maggior diversità. Dobbiamo cercare di creare agro-biodiversità. L’umanità probabilmente usa 7000 su 3-400.000 diverse specie a noi conosciute; non è che una piccola parte. Quindi abbiamo bisogno di osservare lo stato brado, dobbiamo rivolgerci alla conoscenza indigena locale sulle piante e dobbiamo considerare quali specie possano essere utili in futuro. www.edenproject.com 

Queste sono solo alcune delle molte voci che prenderanno parte all’insegnamento del nuovo pionieristico corso Master programme on Sustainable Horticulture and Food Production che comincerà nel settembre del 2012. Accreditato presso la Plymonth University ed erogata attraverso un network di organizzazioni partecipanti che includono lo Schumacher College, il Centre for Alternative Technology e l’Eden Project, sarà il primo foro accademico che metterà insieme alcuni fra i temi più disparati, ricerche e proposte sulla pressante domanda della produzione globale di cibo. «Inventare un futuro nel modo più positivo che possiamo immaginare dipende da noi», dichiara John Ellison dell’Eden Project. «Dobbiamo equipaggiarci con le abilità di cui abbiamo bisogno per trovare lavoro appropriato adesso e guadagnare le conoscenze strategiche per diventare agenti di cambiamento». 

Per maggiori informazioni sul master per l’orticoltura sostenibile e la produzione di cibo, visitate: www.schumachercollege.org.uk. 

 

 

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Articolo tratto dalla rivista nr. 30


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Categorie: Decrescita,Ecologia e Localismo


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