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Pensa con la tua testa per liberarti dalle catene

Andrea Bizzocchi ci offre qualche soluzione per non cadere nella trappola del sistema che ci rende schiavi

Romina Rossi - 05/12/2016




Andrea Bizzocchi è una di quelle poche persone che “parla bene e razzola ancora meglio”. Non è solo uno dei tanti che predica un mondo migliore e indica la via, ma è uno che la via la percorre in prima persona.

L’uscita del suo nuovo libro è l’occasione per fare quattro chiacchiere e per conoscere il suo pensiero.

Andrea, quali sono le catene che ci imprigionano oggi?

Le catene che ci imprigionano oggi sono numerose ma quella del condizionamento massmediatico è forse la principale e più pericolosa. Questo condizionamento fa sì che la gente non sia mai se stessa, ovvero l'individuo che ognuno di noi naturalmente è, ma pensi e agisca come “tutti”, cioè come le masse.

Noi non “siamo” mai chi veramente siamo ma siamo “tutti”, e se ci pensi questa è un'ottima ragione per stare male perché se sei “tutti” non sei mai te stesso, non sei mai in sintonia con te stesso. “Tutti” non esiste, eppure tutti pensano e si comportano come “tutti”.

Come conseguenza di non essere se stessi ma “tutti” viviamo con paura, e del resto la paura è il primo strumento di controllo della gente. Il sistema di condizionamento massmediatico non fa altro che ripeterti che “non sei all’altezza” di qualcuno o di qualcosa, che hai bisogno di qualche esperto che ti deve dire cosa devi fare e come devi vivere.

Del resto la stessa economia del consumo si basa esattamente su questo, sullo stare male e sul cercare dei surrogati che ci facciano stare bene. Ma questo non accade mai perché un surrogato rimane un tale.

Quindi la gente ha paura, vive con paura e per questo è facilmente controllabile e direzionabile, anche perché, come dicevamo prima, ha ormai abdicato alla capacità di pensare con la propria testa, di sviluppare ed avere un pensiero proprio. Le due cose sono strettamente legate.

Tu sei una di quelle persone che davvero vive senza lasciarsi fagocitare dall’economia – o meglio, dal consumismo – ma applica la decrescita come stile di vita: vivi con meno e dai valore alle persone non alle cose. Quali sono le difficoltà che incontri più spesso in questa società che è diventata oltremodo capitalistica e consumistica?

Francamente non saprei dirti. A me sembra molto più difficile vivere nel sistema che fuori. Mi pare molto più difficile alzarsi tutte le mattine e fare sempre le stesse cose, avere lavori assurdi (perché diciamoci la verità, la maggior parte dei lavori di oggi sono assurdi) piuttosto che alzarsi e avere una vita tendenzialmente libera.

Questo non significa che io nella mia vita non abbia difficoltà, anche perché le difficoltà fanno parte della vita e sono anche il mezzo e lo strumento grazie a cui possiamo crescere ed evolverci. Del resto se fai sempre le stesse cose, se non ti prendi mai rischi, come puoi pensare di crescere?

Ma la gente ha paura di cambiare vita, si lamenta di tutto e di tutti ma non si prende mai la responsabilità di cambiare ciò di cui si lamenta, spesso per paura. Ma fino a che non ci prendiamo la responsabilità di cambiare in prima persona, la nostra vita non cambierà mai. E bisogna anche smuoversi per farlo, non lo si fa rimanendo seduti sul divano.

Quello a cui non si pensa quando si compra qualcosa e lo si getta pochi mesi dopo per comprare l’ultimo modello è che così facendo si va ad aumentare la povertà nel mondo e le fila di schiavi, che sono in gran parte bambini, che vivono nel mondo non sviluppato. È come se di fronte agli oggetti, i must che bisogna avere, la gente chiudesse gli occhi e non pensasse alle conseguenze che il proprio stile di vita ha sul resto del mondo. Quali sono i rischi che corriamo tutti, se si continua con questo stile di vita scriteriato?

A parte le questioni di sfruttamento, devastazione, inquinamento ambientale, e quelle legate allo sfruttamento degli “schiavi dei paesi poveri” che producono la cianfrusaglia inutile che chiamiamo economia, questioni che sono ovviamente rilevanti, io credo che il punto principale sia capire in maniera netta e inequivocabile che il comprare cose non può che farci stare male, perché il consumismo si basa sull'infelicità delle persone e non sul loro benessere.

Del resto è anche ovvio: tu te l'immagini una persona che sta veramente bene, che sta bene nel senso più autentico e profondo del termine, passare il tempo a comprare mutande firmate o a cambiare lo smart phone perché hanno lanciato il modello nuovo?

E c'è anche un'altra questione importante: noi viviamo sempre più in un mondo tecnologico, artificiale, di oggetti, che per loro natura sono morti, quando per stare bene abbiamo necessità di relazionarci con ciò che è vivo, cioè con nostri simili o con la natura.

Come ci si libera dalle catene o meglio, come si raggiunge la vera libertà?

È quello che spiego nel libro. Ci sono cinque punti fondamentali:

  1. Prendere piena coscienza che i nostri pensieri non sono mai “nostri” ma frutto di un condizionamento che prosegue sin dalla nostra nascita.
  2. Imparare a “pensare con la propria testa”, ma farlo per davvero.
  3. Superare le paure, che sono il principale motivo per cui stiamo male ma che non sono mai reali.
  4. Decidere di cambiare.
  5. Assumersi la totale responsabilità della propria vita. Ci sono tutta una serie di accorgimenti e strategie per fare questo, e ti assicuro che se si vuole davvero cambiare è possibile farlo. È ciò che spiego nei miei seminari.

Hai viaggiato in lungo e in largo e hai vissuto anche in Paesi lontani, come il Costarica, che qualche anno fa era considerato il Paese più felice del mondo. Che differenze hai riscontrato fra le società dove ancora si dà valore alle persone e le società dove invece si fa tutto in nome del dio denaro?

Premesso che la globalizzazione (un processo politico creato ad arte) ha oramai appiattito quasi tutto e quindi purtroppo le differenze tra i Paesi sono sempre più risibili, resta comunque il fatto che nei cosiddetti “paesi poveri” la vita è ancora vita, e questo nel senso più ampio del termine.

Nel bene e nel male ti senti vivo e la maggior parte della gente si sveglia ancora alla mattina con quella joie de vivre che ci appartiene per nascita. Qua da noi invece ci si alza già stressati e comunque senza entusiasmo. La vita è percepita come una maledizione invece di essere vissuta per ciò che veramente è: una grande, enorme, infinita benedizione.

Mi sembra che tu sia l’esempio vivente di quanto l’ex presidente dell’Uruguay, Pepe Mujica, diceva ai grandi della Terra – parole che fecero scalpore in tutto il mondo e che ancora oggi girano sui social – sul lavoro e sul benessere. In che modo il lavoro è un’altra di quelle cose che ci rendono schiavi?

Anzitutto chiariamo che l'essere umano non è nato per lavorare e meno ancora per consumare, ma semplicemente per vivere. Il fatto è che il lavoro non nobilita affatto l'uomo ma piuttosto lo abbruttisce, soprattutto se si tratta di lavori insulsi e degradanti come la maggioranza dei lavori moderni. Che cosa ti dà il lavoro se non dei foglietti di carta con i quali sopravvivere (perché vivere è un’altra cosa) fino a fine mese?

Il fatto è che questo grande condizionamento inizia con la scuola che ti deve “preparare al mondo del lavoro” e quindi smarcarsene diventa difficile, soprattutto perché “così è”, “così è sempre stato”, “così fanno tutti”. È una specie di psico-allucinazione collettiva quella che si debba lavorare, che però nel momento esatto in cui viene percepita come reale, lo diventa. E questo, per inciso, ci dimostra che siamo noi a creare la nostra realtà con i nostri pensieri, con ciò in cui crediamo.

Non c'è nessuna realtà oggettiva ma solo quella che creiamo noi stessi, in ogni momento, con il nostro pensiero che poi si traduce in comportamenti e azioni. Ad esempio il mio pensiero fa sì che del lavoro io da più di dieci anni sono pochissimo schiavo, ma è ovvio che se pensassi, credessi, che il lavoro è indispensabile, avrei un lavoro, magari inquadrato e “sicuro” e di conseguenza avrei un’altra vita.

Hai due figlie quasi adolescenti, l’età in cui molte cose si cominciano a fare per imitazione, per paura di essere tagliati fuori dalla cerchia di amici. Quali sono le difficoltà che riscontri più spesso con loro e con i giovanissimi in generale?

Nel libro ho scritto che non ha mai preteso di insegnargli ciò che è giusto e ciò che non lo è, ma semplicemente che se lo fanno “tutti” allora è probabilmente sbagliato.

Il senso è semplice. Sii forte, sviluppa una tua identità, pensa con la tua testa e non con quella di “tutti”, e in qualche modo saprai far fronte anche alla difficoltà che la vita ti pone di fronte. Mai, mai, mai, essere massa. Mai fare le cose perché “le fanno tutti”. Fregatene, infischiatene.

Quel 90% che rappresenta la massa è semplicemente un numero. Tu non essere massa e contribuisci ad abbassare quel numero. E comunque il problema non sono i bambini e nemmeno gli adolescenti. Il problema siamo noi adulti che pretendiamo di insegnare loro mentre dovremmo semplicemente osservarli per (re)imparare da loro.

Tu guarda un bambino che gioca. È pienamente presente, pienamente nel momento, pienamente felice e soddisfatto. Quel bambino vive perché è vivo. Cosa dovremmo insegnargli noi adulti? A diventare stressati come noi?

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Articolo tratto dalla rivista nr. 47


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