Molino Pransani: macinare semi antichi per seminare modernità
La storia di Stefano Pransani che riapre la vecchia attività di famiglia chiusa da trent’anni e che è diventata un modello di sostenibilità
Daniel Tarozzi - 18/01/2017
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Quando scopro che dovrò andare a realizzare un’intervista presso il Molino Pransani (a Sogliano al Rubicone, in provincia di Rimini), mi aspetto di vedere da lontano una pala, un piccolo fiume che scorre e del grano che viene lentamente macinato. Il primo impatto, quindi, quando arrivo sul posto, è di apparente delusione.
Un semplice edificio mi si prospetta davanti e al suo interno trovo dei macchinari a prima vista non particolarmente affascinanti e molto lontani dal mio immaginario stereotipico. Per fortuna quando comincio a parlare col titolare capisco che non resterò deluso da questo incontro ma che, al contrario, ancora una volta sarò spettatore di un piccolo angolo di magia.
Questo storico molino, infatti, dopo essere rimasto chiuso per una trentina d’anni, è stato riaperto da Stefano Pransani che ha ripreso in mano l’attività appartenuta storicamente alla sua famiglia dopo aver abbandonato la carriera da ciclista. Ancor prima di mettere le mani sulle macine, però, Stefano le ha messe in campagna dove con la sua azienda agricola ha iniziato a coltivare grani antichi.
Quando ha aperto il molino, quindi, l’intuizione è stata immediata: voglio macinare grani antichi, locali, biologici – si dev’essere detto – e così ha fatto. Il primo passo è stato quello di aumentare la produzione di grani chiedendo alle aziende del posto di seminarli per lui.
Nel giro di poco tempo, si è passati da una produzione di trecento quintali a una di undicimila quintali! Poi sono iniziate le produzioni di farine, vendute inizialmente nel circuito macrobiotico marchigiano e poi anche a molte realtà romagnole e non.
I grani antichi: più buoni, più sani
Gli chiedo come mai il molino non abbia l’aspetto romantico che immaginavo.
«L’impianto è stato rifatto di sana pianta, mi spiega. Era, infatti, abbastanza vecchio e non in linea con le leggi attuali sulla sicurezza; abbiamo ripreso comunque una struttura già preesistente, con macinazioni lente, che non riscaldano il grano».
La scelta dei grani antichi, come detto, è stata naturale, ma mi chiedo e gli chiedo cosa l’abbia mosso inizialmente.
«All’inizio non avevo grande consapevolezza da un punto di vista nutrizionale; la mia scelta era stata mossa soprattutto da una passione. Poi ci siamo resi conto, strada facendo, delle ragioni “nutrizionali”: i grani antichi contengono molto meno glutine e sono quindi meno dannosi per la salute e meno problematici per i portatori di intolleranze alimentari. Da tanti anni c’è molta sofisticazione – continua Stefano – non mi aspettavo davvero che la nostra attività avrebbe avuto uno sviluppo così esponenziale».
Chiedo a Stefano se queste farine “antiche” abbiano qualche controindicazione.
«Lavoriamo costantemente per avere un prodotto stabile, però queste farine rimangono più “difficili” rispetto a quelle industriali. In realtà, però, – si corregge poi – sempre più persone le utilizzano per gli scopi più vari e ci confermano che una volta capito come utilizzarle il risultato è più che soddisfacente. Basta ricordare che queste farine avendo meno glutine (dalle tre alle quattro volte in meno rispetto ai prodotti “classici”) hanno un decadimento dell’impasto più veloce, che cresce meno; una volta che l’artigiano entra nel meccanismo può però fare ottimi prodotti».
Cambiare per migliorare la società
All’inizio, le persone del posto, nonché quelle vicine a Stefano, hanno accolto la sua scelta con grande scetticismo. Ora, invece, c’è molta richiesta: la domanda è cresciuta in modo esponenziale e persino la grande distribuzione si è fatta avanti, anche se su questa Stefano nutre qualche dubbio.
Prima di lasciare Stefano al suo lavoro gli chiedo come viva il suo territorio, la Romagna.
«Se vogliamo cambiare le cose dobbiamo sostenere le piccole realtà che si dedicano a prodotti sani e sostenibili, investendo tempo e passione in cambio della soddisfazione di vedere un prodotto che piace e che viene sempre più richiesto. Dobbiamo resistere a questa globalizzazione, facendo diventare queste piccole realtà dei modelli di sostenibilità. Per fortuna c’è un aumento costante della consapevolezza nelle persone».
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Articolo tratto dalla rivista nr. 47
Categorie: Ecologia e Localismo,Alimentazione e salute
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