Leggiamo con apprensione
In Italia abbiamo un sistema di trasporto che ci vede ultimi, in Europa, per flessibilità e convenienza: quale futuro ci aspetta?
Carlo Bertani - 28/04/2008
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In Italia abbiamo un sistema di trasporto che ci vede ultimi, in Europa, per flessibilità e convenienza: quale futuro ci aspetta?
Appena svaniti i clamori della campagna elettorale, siamo felici che alcuni, importanti “nodi” della politica italiana siano stati finalmente sciolti. Soprattutto, finalmente s’interviene nei trasporti i quali, come la scuola, la sanità e il lavoro, rappresentano realtà importanti per gli italiani, nella vita d’ogni giorno.
Per il lavoro, con la de-tassazione degli straordinari, il problema è risolto: invece di lavorare 8 ore, ne lavorerai 10 e guadagnerai 1500 euro invece di 1300. Fatto. Aumentano gli infortuni perché sei più stanco? Mettiti il casco e taci, fannullone.
Della scuola si sa poco: informazioni non confermate affidavano Viale Trastevere a Sandro Bondi, ma si tratta con ogni probabilità di uno scherzo. Si sa, Bondi è buontempone: tutto sommato – però – dopo la Moratti ed il Fiorone, un guitto assiso alla suprema cattedra non ci starebbe male. Ma era Bondi o Boldi? Non sappiamo, tanto sono intercambiabili.
Anche sulla Sanità, c’è mistero: appena condannato un ex ministro di Berlusconi (Sirchia, 3 anni per “mazzette” sulle apparecchiature degli ospedali), è meglio soprassedere sul futuro successore. Tanto, negli ospedali italiani, c’è libertà di crepare anche senza ministro.
Quello che più ci sovviene, invece, è sapere che la vicenda di Alitalia ha finalmente “imboccato” il giusto corridoio aereo.
Confessiamo d’aver punto esperienza sul volo: una innata ritrosia – unita a considerazioni fisiche sulla scarsa densità del fluido definito “aria” – ci ha finora preservati dal salire sui rombanti cilindri alati.
Ascoltando, però, le molte – sagge – considerazioni esposte da esperti rappresentanti delle istituzioni, delle parti politiche e, infine, da personaggi del jet set, abbiamo tentato di farci un’opinione. Tenendo saldamente i piedi per terra.
Il primo punto che ci è saltato agli occhi, è che lo Stivale non è baciato dalla fortuna per il trasporto aereo: fosse una padella od un uovo, avremmo maggiori chance. Sì, perché la “natica” del Bel Paese – definita sommariamente “Nord” – ha una larghezza approssimativa di 600 chilometri, e le principali destinazioni dell’area distano mediamente 250-350 chilometri. Ora, non è molto conveniente recarsi all’aeroporto più vicino – sia esso Caselle, il Marco Polo od Orio al Serio, per atterrare a Ronchi dei Legionari o a Malpensa: con i tempi di trasferimento alla città che dobbiamo raggiungere, si fa prima a prendere il treno.
Diversa la situazione dello stivale vero e proprio: qui, le distanze aumentano considerevolmente e rendono appetibile la velocità del mezzo, che compensa il trasferimento alla città di destinazione.
Ovviamente, se devo raggiungere Milano da Palermo, avrò convenienza a scendere a Linate: con un taxi e con la metro, posso sperare di giungere in centro abbastanza in fretta. Diverso è il caso se dovrò scendere in un grande aeroporto situato in aperta campagna, fra le province di Novara e di Varese, ossia a Malpensa.
Malpensa, però, non è nata per i brevi trasferimenti interni, bensì come “ponte di lancio” verso il pianeta, le destinazioni internazionali.
Anche qui, però, casca l’asino: per andare a Tokyo od a Los Angeles, non ha molta importanza se parto da Fiumicino o da Malpensa. Molto spesso – mi raccontano amici che fidano più di me nella scarsa densità dell’aria – è conveniente raggiungere un altro aeroporto europeo (Londra o Amsterdam, ad esempio) per questioni di convenienza economica: l’importante è che il sistema di trasferimento intermedio funzioni in tempi brevi.
In definitiva, ci sono due sistemi di trasporto a confronto: uno, prevede che da molti punti “A” del pianeta si raggiungano altrettanti punti “B” di Gaia. Gli utenti di quei punti saranno ovviamente avvantaggiati dalla comodità del volo diretto: il problema, è definire se ci sono abbastanza utenti che da un determinato punto “A” vogliono raggiungere un certo punto “B”. Altrimenti, i costi lievitano.
Un secondo metodo prevede invece che da un aeroporto qualsiasi di una nazione si raggiunga un solo punto “A”, dal quale partono voli per il punto “B”, a sua volta unico (o quasi) nel paese di destinazione.
A ben vedere, è la stessa logica che regna nel trasporto terrestre: milioni d’autotreni si spostano incessantemente da una miriade di punti “A” ad altrettanti punti “B”, ordinatamente in coda sulle aerovie terrestri chiamate “autostrade”.
La logica intermodale prevede, invece, che chi deve spedire merci le invii ad un determinato punto “A” – un nodo intermodale – nel quale affluiranno le merci dell’area, le quali saranno distribuite su vari vettori – ferroviari, marittimi od aerei – fino ad un punto “B”, laddove un container, ad esempio, terminerà il viaggio su strada per brevi tratte. L’UE, definisce queste brevi tratte nell’ordine dei 50 Km: questo sarebbe il “raggio d’azione” del trasporto su strada.
Invece, il legname della Scandinavia viaggia su camion fino all’Italia, e gli esempi si sprecano: basta osservare un giorno “d’ordinaria follia” sulle nostre autostrade. Non starò a tediare il lettore con i racconti che giungono dalle terre dei Goti, dei Franchi e dei Germani, laddove si sono ingegnati a trasportare le merci sfruttando le vie d’acqua interne e la navigazione di cabotaggio: noi – eredi di Caio Duilio – non accettiamo lezioni dai popoli barbari.
Proprio per mostrare la magnificenza di Roma ai popoli nordici, abbiamo deciso di costruire l’ottava meraviglia del mondo moderno: un ponte sul mare che unirà la Sicilia alla terraferma. Lo faremo sfidando gli Dei e la malasorte, giacché – proprio in quei luoghi – si sono verificati i terremoti più devastanti che abbiano colpito Enotria. Ergeremo torri ciclopiche all’interno delle città – che avranno una cubatura paragonabile a quella delle Twin Tower – poi stenderemo un nastro d’acciaio e cemento che unirà due terre le quali – affermano i geologi – s’avvicinano inesorabilmente di 1 cm l’anno. Sarà poco, sarà tanto? Ovviamente, i sostenitori del ponte s’affrettano ad affermare che la cosa non è minimamente da prendere in considerazione, così come il regime dei venti che regna nello Stretto.
Non c’interessa tanto la disputa tecnica sull’argomento, quanto rispondere ad una domanda: ma, questo ponte, serve veramente?
Ritornando alla questione del traffico aereo, abbiamo un dato confortante: le tratte aeree fra la Sicilia e le principali destinazioni del paese – Napoli, Roma, Pisa, Bologna, Bari, Milano, Torino, Trieste – sono vantaggiose, poiché la tratta è considerevole e compensa ampiamente i trasferimenti da/per gli aeroporti.
Si tratta quindi di lavorare più sul fronte delle tariffe e degli aeroporti, per renderle le prime più accessibili alla popolazione, e più moderni i secondi.
Non si capisce proprio perché, un siciliano che può raggiungere Milano in un paio d’ore, debba “scoppiarsene” 24 di treno. Se, invece, vuole proseguire con l’auto, sono già disponibili i traghetti veloci per Genova: 18-20 ore, meno di quello che ci si mette in autostrada, a meno di scambiare l’A1 per la pista di Monza.
Se la prospettiva è invece quella del turismo – soprattutto straniero – ci sembra un’idea peregrina quella di far viaggiare due pensionati tedeschi da Francoforte a Palermo in treno.
Rimane il trasporto delle merci, per le quali sembrerebbe affascinante l’idea d’eliminare quel paio d’ore che comporta il trasbordo dei treni sui traghetti. Anche qui, però, l’idea d’affidare al solo ponte il trasferimento delle merci da/per l’Europa, non ci sembra la miglior soluzione.
In fin dei conti, il ponte risolve i problemi di un solo percorso – fra i tanti – che le merci seguono per/dalla Sicilia.
Se osserviamo la posizione dell’isola, scopriamo che rappresenta proprio il centro del Mediterraneo: gli scambi – esaminando il problema in una prospettiva europea e mediterranea – non avvantaggiano chi si propone di portare dei treni in Calabria, bensì chi pensa di commerciare con Atene e Barcellona, Marsiglia e Trieste, Genova e Tunisi…
La prospettiva dei trasporti merci da/per l’isola non è quindi quella prevalentemente ferroviaria, bensì quella marittima: a tal riguardo, la Sicilia è ampiamente dotata di porti, magari da potenziare, ma già presenti.
Fra l’altro, i prodotti dell’industria petrolchimica siciliana già oggi viaggiano prevalentemente sul mare, poiché quel tipo di materiali (prevalentemente liquidi) usa le comuni petroliere e gasiere.
I rifornimenti e le esportazioni da/per l’isola sono più convenienti se avvengono via mare: una nave fluviale/marina, già oggi, può condurre merci da Palermo ad Anversa. In un prossimo futuro, i canali europei saranno in grado di consentire il passaggio delle navi del tipo V – 2.000 tonnellate di portata utile – mentre il sistema Reno-Danubio consente già il passaggio a navi da 3.000 tonnellate. Non dimentichiamo, inoltre, le tradizionali tratte marittime: Genova, Napoli Barcellona, Algeri, Patrasso, Trieste…
Sommando le due esigenze – trasporto prevalentemente aereo per i passeggeri e marittimo per le merci – a cosa serve costruire quel ciclopico ponte?
La logica è la stessa che ha portato a costruire Malpensa: colate di cemento che arricchiscono soltanto chi le compie, null’altro. Sottolineiamo che, qui, non si tratta del classico “no a tutto”, ma della critica ad un sistema di trasporto che ci vede ultimi, in Europa, per flessibilità e convenienza.
La logica italiana è, invece: “Vediamo quel manufatto quanto rende, in termini di ricchezza per i nostri amici costruttori e per le casse dei nostri partiti senza dimenticare – ovviamente – le nostre tasche”. Questo è il diktat che sta dietro a Malpensa, al Ponte sullo Stretto di Messina ed alla TAV. Nient’altro.
Succede poi, per star dietro alle richieste di tutte le forze politiche – di maggioranza e d’opposizione – che la compagnia di bandiera di un Paese non esteso, che non ha molte, lunghe tratte interne che rendano convenienti i voli interni, pensi di “raddoppiare” il terminal principale per i voli internazionali, quando altre nazioni più estese si guardano bene dal farlo. E’ ovvio che si fa la fine del classico vaso di coccio.
Tutto l’ambaradan viene cacciato allora in una campagna elettorale, dove ciascuno cerca di tirare le ali dei velivoli dalla propria parte, con il risultato di fracassare la carlinga.
Per salvare il salvabile, allora, si cacciano dalle tasche degli italiani 300 milioni di euro – per queste cose si trovano sempre, per gli ospedali e le pensioni da 512 euro non ci sono mai – e si fa un “prestito ponte”, di quelli che saranno resi il giorno del mai. Speriamo che, domani, non ci chiedano una altro “prestito per il ponte”.
C’è, però, una soluzione “strutturale” dietro l’angolo, pronta per mostrare che il futuro governo sa già oggi cosa fare: correte italiani – di là dei monti e dei mari – per salvare la compagnia di bandiera. Non si può rispondere picche agli amici degli amici, e allora si nicchia. Tronchetti-Provera non “prova” e dubita, ma afferma che forse sì, se c’è qualcuno che sa condurre una compagnia aerea, si può fare…se il piatto è ricco mi ci ficco, altrimenti… poi arriva “l’amico” Putin e promette che… sì… Aeroflot s’interesserà… vedrà… sempre, però, “salvaguardando i propri azionisti”.
Insomma, nessuno sembra concedere ampio credito alla “chiamata alle armi” di Berlusconi: tutti meno uno.
L’unico che afferma “sì, si deve dare una mano” è un tizio che – coloro i quali hanno già qualche capello grigio – ben conoscono, e risponde al nome di Salvatore Ligresti.
La storia di questo onest’uomo è nota: nasce a Paternò, in Sicilia, ma “mette a frutto” le sue doti nella Milano “da bere” degli anni ’80. Come altri “miracolati”, investe la classica “fortuna” che non si sa da dove spunta e, negli anni ’80, è considerato il più potente immobiliarista di Milano.
Purtroppo, finisce nella rete di Mani Pulite, ma non si cruccia: “scarica” Craxi ed ottiene così il patteggiamento della pena, due anni e quattro mesi. Che sconta, ovviamente, in affidamento ai servizi sociali: lor signori non ingombrano mai le carceri.
Non intendiamo in questa sede riprendere l’infinita vicenda politico/affaristico/giudiziaria di Salvatore Ligresti: il lettore potrà trovare sul Web ottimi articoli di Gianno Barbacetto e d’altri illustri giornalisti che tratteggiano, con sconforto, “l’ineluttabilità” del controllo politico/finanziario da parte di questa gang che ci governa.
Oggi, Totò Ligresti “dà una mano” per Alitalia. Grazie, non è il caso, dovrebbero rispondere politici che non si servono, per sanare i problemi, di pregiudicati, anche se d’alto bordo.
Invece, pare che Alitalia – come ricordato dal buon Vauro – finirà per diventare “Aligresti”, o forse peggio. Con buona pace dei leghisti che difendono Malpensa, con l’ausilio di finanzieri pregiudicati ed in odor di mafia, già condannati per reati di corruzione: padron Berlusconi s’è rivolto, come sempre, a chi di dovere. Similis similia solvitur, già affermavano gli alchimisti.
Carlo Bertani articoli@carlobertani.it
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