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Le ragioni della Decrescita: l'autoproduzione di beni

Sostituire al concetto di merce il concetto di bene: il primo passo per intraprendere la via della decrescita

Maurizio Pallante - 25/02/2008




Tratto da
Valerio Pignatta

Pane, Formaggio e Vino
Come prepararli in casa, seguendo le regole di salute e tradizione - Introduzione di Maurizio Pallante

BIS, 2008

Se, come è stato scritto con amara ironia, solo i pazzi e gli economisti possono pensare che sia possibile  una crescita economica infinita in un mondo con risorse finite e con una capacità finita di metabolizzare gli scarti delle attività umane, una critica della crescita che si limitasse a proporre un rallentamento o anche diminuzione della produzione di merci non uscirebbe dai binari di quell’irrazionalismo economicistico che ha individuato nel prodotto interno lordo la misura del benessere di un Paese. Comunemente si ritiene che questo indicatore misuri la quantità dei beni che un sistema economico e produttivo mette a disposizione di una popolazione nel corso di un anno. In realtà misura il valore monetario delle merci, ovvero degli oggetti e dei servizi scambiati con denaro. Ma il concetto di bene e il concetto di merce non coincidono. Anzi, sempre più spesso confliggono. Esistono cioè merci che non sono beni e beni che non sono merci. Il chiarimento di questa distinzione è indispensabile per formulare una critica concettuale della crescita economica in quanto tale, e non solo dei suoi eccessi, al fine di costruire un paradigma culturale alternativo.
Un edificio mal costruito che disperde grandi quantità di calore dai muri esterni, dagli infissi e dal sottotetto, consuma maggiori quantità di gasolio o di gas di un edificio ben costruito e ben coibentato, per cui fa crescere di più il prodotto interno lordo, ma i suoi maggiori consumi non accrescono il benessere, anzi peggiorano la qualità della vita di chi lo abita e incrementano inutilmente le emissioni di CO2. Un edificio ben costruito e ben coibentato fa diminuire il consumo di fonti fossili, per cui comporta una decrescita del pil a cui corrisponde un miglioramento della qualità ambientale e della qualità della vita. L’energia sprecata negli edifici mal costruiti è una merce ma non un bene. E, come minimo, in Italia, lo spreco di questa merce ammonta ai due terzi.
La frutta e la verdura coltivate per autoconsumo in un orto familiare sono qualitativamente migliori di quelle comprate al supermercato, ma fanno decrescere il pil perché fanno diminuire la domanda dei prodotti ortofrutticoli. Inoltre chi coltiva per sé generalmente non utilizza antiparassitari e fertilizzanti di origine chimica, per cui anche la terra ne trae beneficio. Ciò che si produce per sé è un bene, ma non una merce. Analogamente i servizi alla persona forniti per amore e non in cambio di denaro apportano benefici ineguagliabili non solo a chi li riceve e a chi li fornisce, ma all’umanità perché accrescono il tasso di relazioni interpersonali positive. Eppure sono fattori di decrescita.
Se si lacera il velo che impedisce di vedere questa distinzione, si capisce che la decrescita non è un semplice capovolgimento del segno più in segno meno davanti alle cifre della contabilità nazionale, ma un paradigma culturale completamente diverso rispetto a quello che ha uniformato i paesi occidentali a partire dalla rivoluzione industriale. Un paradigma culturale che consente di ridefinire con criteri diversi sia il sistema di valori, sia il sapere e il saper fare.
Se si ritiene che il principale indicatore del benessere sia la crescita del prodotto interno lordo, la progressiva sostituzione dei beni (che non lo fanno crescere) con le merci (che lo fanno crescere) viene considerata un progresso e un accrescimento del benessere. Al contrario, la persistenza della produzione di beni e la resistenza all’accettazione della loro sostituzione con merci è considerata un fattore di rallentamento del progresso, un atteggiamento retrivo e conservatore da estirpare dal sistema dei valori condivisi. E qual è il modo migliore di estirparlo, oltre alla condanna culturale e all’esaltazione mediatica della modernizzazione, se non la cancellazione delle conoscenze e delle abilità necessarie ad autoprodurre tutto ciò che è più conveniente economicamente e più sano ecologicamente autoprodurre anziché comprare? Chi non sa fare niente non può far altro che comprare tutto. Dipende totalmente dal mercato per le sue esigenze vitali. Non è autonomo. Ma chi non può che comprare tutto fa crescere il pil molto di più di chi sa fare qualcosa. Un sistema economico e produttivo fondato sulla crescita del pil non può che impoverire culturalmente fasce sempre più ampie di popolazione facendo al contempo credere che questo processo di deculturazione di massa costituisca un progresso, una liberazione dalla necessità di ricavare dalla natura ciò che serve per vivere e l’apertura di un mondo nuovo in cui l’abbondanza non ha più limiti. Un sogno (?) che le sempre più gravi conseguenze dei mutamenti climatici in corso e l’esasperazione della concorrenza a livello internazionale ha spezzato in mille frammenti.
Il recupero del sapere e del saper fare accumulato dalle generazioni precedenti a quelle che si sono lasciate irretire dal mito della crescita economica, è indispensabile per riaprire la possibilità di un futuro alla specie umana. Come il Rinascimento non sarebbe stato possibile senza il millenario lavoro di conservazione dei codici antichi operato dai monaci nel silenzio dei loro conventi, anche nei nostri anni, in luoghi appartati ed emarginati dalle grandi direttrici dello sviluppo, c’è chi non ha mai smesso di preferire l’autoproduzione di beni all’acquisto di merci, l’autonomia alla dipendenza dal mercato, senza lasciarsi condizionare dall’indifferenza e dall’irrisione con cui una cultura fondata sull’esaltazione del progresso commisera i conservatori.
Considerare il libretto di Valerio Pignatta un semplice manuale per neo-ruralisti in uscita laterale dalla strada maestra che conduce l’umanità verso il futuro, sarebbe molto riduttivo e non ne coglierebbe il vero significato culturale, di un vero e proprio codice riportato alla luce dalla biblioteca del monastero in cui è stato custodito come il relitto dimenticato di un passato che non ha più niente da insegnarci. Se questo significato culturale sarà percepito, sarà un segno di un nuovo inizio, di un nuovo Rinascimento in cui gli esseri umani riusciranno a liberarsi dal ruolo mortificante di strumenti della crescita economica e sapranno ricondurre il lavoro al suo ruolo di strumento di cui si servono per migliorare il mondo, riducendo progressivamente la loro impronta ecologica senza privarsi di nulla e migliorando la qualità della vita non solo della loro specie, ma di tutte le specie viventi.

Maurizio Pallante

Tratto da
Valerio Pignatta
Pane, Formaggio e Vino
Come prepararli in casa, seguendo le regole di salute e tradizione - Introduzione di Maurizio Pallante

BIS, 2008

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Categorie: Decrescita














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