La teoria dei desideri
I desideri sono il nostro motore: quelli che riusciamo a esprimere sono l’estensione della nostra percezione
Igor Sibaldi - 03/05/2017
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È antichissima. Per cui se cominci a ragionarci ti ritrovi in giro per vari millenni di storia della letteratura e delle religioni.
Comincia dall'inizio di tutto: proprio dal giorno in cui il Creatore decise che l’universo così com'era non gli andava più, e desiderò qualcos'altro e pronunciò la famosa frase: «Sia la luce!». Desiderava vedere di più. E la luce diede la stura al resto. Prima gli oceani, poi le montagne, e così via, fino a che creò noialtri.
Dopodiché si ebbe il lungo addestramento dell’umanità alla capacità di desiderare. Prima con Adamo. Va da sé, infatti, che quando Dio disse di non mangiare i frutti di quel tal albero, suscitò immediatamente il desiderio di assaggiarne un po’.
Non l’avesse detto, non ci sarebbero state le millecinquecento pagine seguenti della Bibbia: i due primi umani sarebbero ancora lì a passare il tempo Dio solo sa come, nel giardino dell’Eden.
Certo, Dio ebbe qualcosa da eccepire per quei frutti desiderati e mangiati – con gusto, pare. Si arrabbiò, ma va’ un po’ a capire se faceva sul serio o se era una qualche sua intenzione educativa: d'altronde, il famoso Serpente non poteva che averlo messo Lui stesso nell'Eden, perché svolgesse il compito del primo tentatore, diciamo pure del primo Babbo Natale della storia dell’universo.
Poi toccò a Noè. Lì, Dio fece veramente le cose in grande: per insegnare a Noè a desiderare qualcosa di diverso da quello che aveva già sott'occhio, gli propose l’esperienza del Diluvio.
«Appena chiuderai la porta dell’Arca ? gli disse ? farò sparire questo mondo e ne scoprirai un altro completamente diverso».
Beh, a considerare i dettagli di questo racconto, se Dio può essere imputato di disastro premeditato, Noè deve risultare come complice: si fosse accontentato del mondo che c’era già, non avrebbe mai chiuso la porta di quell'Arca – e il mondo sarebbe continuato, e nessun nuovo mondo gli si sarebbe rivelato.
Invece Noè desiderò. E ottenne.
Poi sarebbe lungo proseguire tappa per tappa: Abramo che impara a desiderare anche lui qualcosa di diverso «dalla casa di suo padre, dalla sua patria, dal suo parentado»; Giacobbe che desidera moltissimo; suo figlio Giuseppe che desidera ancora di più, e diventa viceré d’Egitto; Mosé che desidera nientemeno che una Terra Promessa, e un popolo che la abiti – e insegna a quelli che allora erano extra-egiziani (proprio come oggi si è extra-comunitari) a diventare appunto un popolo nuovo, il che nessuno di loro si era mai sognato prima. E così via.
Fino a Gesù, con il famoso motto: «Chiedete e vi sarà dato», il cui senso chiarissimo è che ti viene dato solo se e quando chiedi, cioè quando prendi sul serio i tuoi desideri, mentre se non chiedi niente è inutile che stai lì ad aspettarti qualcosa.
E accanto a questa tradizione, sulle altre rive del Mediterraneo c’era quel desideratore specializzato di Ulisse, e poi Roma che cresceva di desiderio in desiderio, fino a che venne superata da altri – i Barbari – che desideravano più intensamente, mentre i Romani erano un po’ troppo soddisfatti di quello che avevano già accumulato…
Perché i desideri sono importanti
Come vedete, si può spaziare molto, trattando di desideri, e mi sono limitato a una brevissima antologia. Il grande e, secondo me, bellissimo problema è perché i desideri siano stati e siano ancora così importanti.
Questo non ve lo anticipo. Ne parleremo al congresso.
Solo, vi invito a riflettere su come sarebbe la vita di una persona che, per le più svariate ragioni, avesse deciso e fosse riuscita a non desiderare più niente. Immaginate questa persona: com'è contenta!
Ha già tutto quello che vuole, è già tutto quello che vuole. Sicuramente è un tipo che pensa positivo: desiderare, infatti, implica il negativissimo e stressantissimo pensiero: “C’è qualcosa che non sono ancora riuscito a realizzare!”. Un pensatore positivo, dunque, che si compiace di sé, e si vanta, e al mattino guardandosi allo specchio dice: “Però!” con un bel sorriso di ammirazione.
Gli parli di qualcosa, e non gli interessa, perché tutto quello che gli interessa lo sa già.
Gli racconti di quello che speri di fare, e ti guarda con compatimento, pensando che tu, alla tua età, hai ancora motivi di insoddisfazione e quindi di conquista.
La sera si addormenta tranquillo nel migliore dei letti possibili, e al mattino si sveglia nel migliore dei mondi possibili, anche se in quel mondo capitano catastrofi dappertutto e ci sono miliardi di persone che soffrono.
Che gliene importa: lui non soffre. E può vivere così per decenni, ringraziando l’universo per le tantissime cose che gli sono andate tanto bene. A te piacerebbe, come prospettiva? Desidereresti una simile immunità dai desideri?
Conosco qualcuno che risponderebbe: «Beh, sì!» e che in nessun caso darebbe ascolto a chi volesse dimostrargli che c’è, in questa prospettiva, qualcosa di spaventoso…
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Articolo tratto dalla rivista nr. 48
Categorie: Crescita Personale
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