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La permacultura in Italia

Esperienze, aziende, progetti, persone: intervista a Massimo Candela, presidente dell’Accademia Italiana di Permacultura

Elena Parmiggiani - 20/10/2014




Massimo Candela, dell’Ecovillaggio di Torri Superiore, organizza dal 2000 i primi corsi in Italia di “Progettazione in Permacultura” secondo il modulo standard di 72 ore.

Nel 2003 consegue, tra i primi quattro in Italia, il Diploma di Progettazione in Permacultura rilasciato dall’Accademia Britannica. 

Dal 1990 ha seguito i progetti di volontariato e di ristrutturazione dell’Associazione Culturale Torri Superiore, e oggi divide il suo tempo tra la gestione della Casa per Ferie, il suo impegno come coltivatore diretto e la presidenza dell’Accademia Italiana di Permacultura. 

 
 

Quando ti sei avvicinato per la prima volta alla permacultura? 

Ho sentito parlare di permacultura nel 1999, quando Declan Kennedy venne in visita a Torri Superiore per spostare in Italia l’ufficio del GEN (Global Ecovillage Network) di cui all’epoca era diventata Segretaria mia moglie, Lucilla Borio. Declan ci lasciò una copia di Permaculture One di Mollison e Holmgren, e poco dopo anche altri colleghi di Lucilla ci hanno sollecitato ad avvicinarci alla permacultura.

In seguito abbiamo conosciuto Richard Wade [diplomato progettista e insegnante di permacultura che attualmente vive e lavora in Spagna, a Permacultura Montsant; N.d.R.) e abbiamo organizzato il primo corso nel 2000. 

Pensi che le motivazioni che ti hanno spinto a diventare un progettista, insegnante e praticante di permacultura siano ancora valide? 

Per me la permacultura era a quell’epoca un reinterpretare quello che stavo facendo, comprenderne punti deboli e aspetti da migliorare. Il mio mondo “permaculturale” lo avevo già in parte scoperto e lo vivevo già da tanti anni, grazie all’esperienza dell’Ecovillaggio di Torri Superiore.

Per me è stato come avere dei nuovi occhi con i quali reinterpretare quello che stavo già facendo.

Tutto questo sono riuscito a comprenderlo tramite Richard che è un grande insegnante di permacultura. Il mio desiderio di partecipare al percorso di apprendimento attivo è nato durante il primo corso a cui ho partecipato, già nel 2000. Mi ha spinto al Diploma sia il gruppo di studenti eccezionale che si è formato il primo anno, sia il fatto che in un corso di permacultura hai un assaggio di numerose tematiche e ti rimane la curiosità di scoprire molto di più.

L’ho trovato un percorso naturale per me, anche se formale e strutturato, sia per approfondire le mie conoscenze, sia per lo sviluppo futuro dell’Ecovillaggio di Torri Superiore anche come Centro Educativo. È un percorso in divenire che ritengo tutt’ora valido. 

Se una persona volesse fare della permacultura il proprio percorso di vita e lavorativo, quali sarebbero i tuoi consigli per cominciare? 

C’è bisogno a tutti i livelli di progettisti in permacultura, siamo in un momento in cui c’è lavoro per tutti.

C’è molto da fare e il primo passo è partecipare a un corso di permacultura.

Per me, nella progettazione, i punti guida sono la creazione di relazioni utili (un mondo di relazioni che siano utili a noi e alle nostre progettazioni) e la capacità di comprendere che la natura è abbondanza. Ne consegue che lo stare insieme è ancora più importante, perché abbiamo bisogno di progettare sistemi e territori che producano e producano anche abbondanza, così come fa di suo la natura: è venuto il momento di superare la sperimentazione (che ci vuole, ma non basta) e lavorare per avere rese.

Questo, secondo me, cambia molto le progettazioni e le rende efficaci.

Si comincia partendo dalla porta di casa propria, cambiando la propria vita, creando relazioni con gli altri, senza le quali diventa tutto un po’ una chimera. Poi si arriva a coinvolge un’intera società, che si sta chiedendo dove andare.

Sei l’attuale Presidente dell’Accademia di Permacultura; come opera l’Accademia sul territorio? In che modo diffonde la permacultura a chi non la conosce? 

L’Accademia Italiana non si occupa di diffondere la permacultura “direttamente”, ma riesce a farlo indirettamente, grazie agli insegnanti e progettisti diplomati che organizzano corsi di progettazione in permacultura e altre iniziative sia in Italia che all’estero.

Il risultato degli ultimi dieci anni è costituito da circa 30 corsi annuali tenuti dai progettisti e dagli insegnanti, 36 progettisti e insegnanti diplomati, 250 associati e circa 100 studenti in apprendimento attivo (che stanno procedendo nel percorso per il Diploma). Ci incontriamo due volte l’anno durante le assemblee plenarie per seguire l’apprendimento attivo dei nostri studenti.

Abbiamo tradotto in modo diretto alcuni libri (Introduzione alla Permacultura di Mollison e Permacultura di Holmgren, per citarne alcuni), pubblicato centinaia di articoli e contributi sulla permacultura, sia su testate nazionali e locali che in Internet, organizzato moltissime manifestazioni locali e nazionali e introduzioni, presentazioni e seminari di permacultura.

Il movimento è molto vivo e forte è l’autoformazione in molte discipline.

Tra i diplomati c’è una grande ricchezza di esperienze e capacità di progettazione, che si aprono su più ambiti, dall’architettura, all’agronomia, al sociale, all’insegnamento, all’economia e non solo.


Ultimamente per far conoscere la permacultura e fare rete sono nati i gruppi locali, in quasi tutte le regioni italiane. Si organizzano incontri locali di mutuo aiuto pratico, momenti di approfondimento su tematiche specifiche e tecnologie appropriate ecc. Cosa ne pensi? 

Personalmente sono felice che qualcuno, al di là dell’Accademia, sia partito con la diffusione: ritengo sia il momento più giusto.

Queste strutture nuove sono le più adatte per la diffusione diretta, mentre credo fortemente che l’Accademia debba fare un lavoro indiretto, ovvero una formazione ai soci per arrivare al Diploma.

Ci sono delle esigenze che sono soddisfatte grazie alla nascita di queste reti di permacultura ed è importante che si mantenga la voglia di creare le relazioni e di consolidare i contatti sia con le reti regionali stesse, che con altre realtà di permacultura italiane ed estere.

Penso che queste reti locali stiano facendo un percorso giusto, che è il momento di fare. 

Molte persone sono interessate a saperne di più sulla diffusione della Permacultura in Italia. Quali sono, secondo te, le realtà e i progetti più vivi e interessanti? Ci sono aziende tra queste realtà?

La natura della permacultura è su più livelli: posso farti molti esempi pratici di applicazione di permacultura nella vita di tutti i giorni, per esempio uno dei princìpi della permacultura è che “ogni funzione è supportata da più elementi”.

Questo vuol dire che in cucina cerchi di avere 3 o 4 cuochi e non uno, in ufficio 3 o 4 persone che lavorano e cerchi di evitare che ci sia un leader. Nel momento in cui fai l’orto hai punti di riferimento su fertilità del suolo, acqua, piante ecc. Tutti riferimenti pratici.

La permacultura è però qualcosa di più che un’attitudine pratica, è una percezione di quello che hai intorno – le rocce, il clima, la composizione del suolo, le piante, le persone. È quando tu riesci a percepire che questo quadro che hai davanti ha un senso, e finalmente prende vita.

Rispetto a questo ci sono molte ricadute nella vita pratica, ma questa visione di percezione è quella più importante.

Detto questo, è quindi difficile individuare in Italia un esempio di permacultura o azienda in permacultura che sia un modello come ce le immaginiamo dopo aver letto un libro. In Italia realtà di questo genere non ne ho viste. Le realtà in Italia sono variegate e tutte cercano di integrare la permacultura in quello che stanno già facendo.

In molti casi una realtà è modello in alcuni aspetti ed è carente in altri, e forse l’Italia è un Paese difficile dove chiudere i cicli (energetico, edilizio ecc) a causa di leggi e regolamenti.

Ci sono comunque moltissimi progetti validi, sia in cui le persone vanno a imparare, sia in cui le persone possono vedere pratiche e processi in permacultura. Posso citare la Boa Casa di Paglia (a Pramaggiore), la Scuola di Pratiche Sostenibili (Milano), il progetto a Milis di Alessandro Caddeo (in Sardegna). Io stesso so che Torri non chiude i vari cicli energetici e quindi non lo nomino mai come esempio in permacultura.

In Italia ci sono molte buone pratiche, ma non si riesce per ora ad avere un progetto che comprenda tutti gli aspetti.

Penso che noi siamo in un Paese in cui non ci sentiamo isolati; nell’immaginario italiano c’è il campanile, non il deserto come in Australia. La realizzazione di un progetto in permacultura da noi è profondamente differente dal modello australiano.

Ci si scontra sempre con il lavorare con gli altri, creare comunità, creare gruppo.

È quindi una sfida differente la nostra, forse ci vuole più impegno e tempo. Dieci anni non sono bastati per vedere modelli plausibili.

Mi auguro e mi aspetto inoltre che cambieremo il nostro modo di vedere e applicare la permacultura, perché siamo in una matrix che include tutti gli altri intorno a noi: una sfida difficile che noi italiani possiamo affrontare.

Se sei interessato alla permacultura, ti ricordiamo che ne abbiamo parlato anche in:

ViviConsapevole #37 Permacultura, la mia fonte di ispirazione.

ViviConsapevole #29 La permacultura di Sepp Holzer

ViviConsapevole #28 Dal deserto all’oasi

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Articolo tratto dalla rivista nr. 38


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