La Gioia del Fare contro l'Orgoglio del Prodotto
Peter Kammerer - 16/09/2009
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Con la mobilità siamo ad una svolta epocale che possiamo leggere a partire dai miti e che riguarda la conquista, conquista che oggi tutti ci spiegano come una cosa meravigliosa: annullare le distanze, superare i vincoli fisici imposti dal territorio, bruciare lo spazio. Tutti questi miti, se guardiamo bene, sono orribili poiché viviamo proprio perché c’è un minimo di distanza fra l’uno e l’altro.
Annullare le distanze è una cosa terribile, allo stesso modo di superare i vincoli fisici.
Le Cosmicomiche di Italo Calvino ci spiegano che l’Universo non ha prodotto altro che spazio dopo il Big Bang e noi abbiamo la massima idea di annullarlo. Una delle Cosmicomiche spiega com’è nato lo spazio, e secondo Calvino, da un’idea di generosità di rapporto. Ora noi stiamo compiendo una rivoluzione uguale a quella che possiamo spiegare con il mito di Anteo, quel gigante invincibile finche toccava con i piedi la terra, e che Eracle riuscì a sopraffare sollevandolo in alto e facendogli perdere la sua forza.
Il mito di Anteo fa parte di tutta una serie di miti importantissimi che spiegano il passaggio dalle divinità della terra alle divinità che Calvino chiama extraterrestri, cioè che vivono sulla terra e non più radicate nella terra. Le divinità non terrestri hanno poi preso la loro sede sull’Olimpo, in alto, mentre le divinità della terra erano dentro, nella terra, Plutone ad esempio. Il ratto di Proserpina, su cui c’è un bellissimo racconto di Calvino, spiega le ragioni di Plutone. Plutone è stato ingannato da queste divinità che stanno sopra la terra, ma lì, dentro, è il vero sapere. Quindi c’è stato un passaggio che ha durato mille, duemila anni da quando gli uomini hanno scambiato i loro dei. Gli dei della terra furono vinti e abbiamo avuto un nuovo tipo di dio che non sta più dentro, nella terra, ma cammina sulla terra, o sta in alto e guarda sulla terra dall’Olimpo.
Questi dei camminavano sulla terra, anzi erano grandi camminatori. Wotan, il dio germanico è stato un grandissimo camminatore, Gesù è un camminatore, gira la Palestina e cammina da un paese all’altro. Se vi piace la musica, sapete che i Lieder di Schubert sono impossibili senza l’idea del viandante. Dunque, l’esperienza umana si è fatta camminando. La nostra lingua conserva quest’immagine, infatti si dice "Che cammino sta facendo questo giovane?" Ma i giovani lo sappiamo, non camminano più, però la lingua dice ancora "un bel cammino verso…".
Passiamo ad un altro cambiamento epocale: cambia il modo di muoversi.
Ci si muove non più nel territorio, ma considerando la fisicità come ostacolo che ci impedisce di muoverci. Le Alpi nella concezione della maggior parte delle persone sono un ostacolo allo sviluppo o al traffico. Quindi, dobbiamo perforare, bucare, ma le montagne che noi buchiamo sono una cosa incredibile e c’è un rapporto fra tutti questi buchi che stiamo facendo. E’ la questione della fisicità, del corpo bucato o non bucato.
Tutto il nostro viaggiare è diventato un modo di incorporarsi in un mezzo, un veicolo, in un posto e uscirne in un altro, tutto quello che sta in mezzo è tempo perduto e non-spazio. Mi imbarco all’aeroporto di Roma ed esco ad Edimburgo o in Africa o ovunque voglio. In mezzo c’è uno strano volo che è non-tempo, non-spazio. Ma anche in automobile ormai ci incorporiamo e arriviamo, il viaggio stesso non conta più.
La conseguenza è che quello che conta è il prodotto, il risultato, il fare, l’arrivarci non conta niente.
Si tratta di una gravissima scelta. Quando a Lessing, uno dei grandi illuministi tedeschi, è stato chiesto: "Che cosa preferisci: la verità o la ricerca della verità?", ha risposto: "La ricerca della verità", perché a lui piaceva ricercare, mentre noi vogliamo il prodotto. Una cultura tutta diversa, per cui lui afferma che la grandezza dell’uomo è il cercare non il trovare. Allora il viaggiare è molto più importante dell’arrivare, o come diceva Bertold Brecht "è molto più importante il giusto camminare che la giusta direzione" con un detto contro Stalin che stava nella giusta direzione. Il risultato di tutte queste scelte di valori, in fondo, prendendo i risultati negativi (poi ci sono anche quelli positivi) sono attività e brutalità, perché il fare non conta più.
Dobbiamo quindi rivalutare la gioia del fare contro l’orgoglio del prodotto, contro l’orgoglio dei risultati, non contano tanto i risultati quanto quello che si sta veramente facendo. Se ci si mette in moto e non si arriva a Città di Castello va benissimo, purché si sia in moto a fare qualcosa strada facendo.
Peter Kammerer
Testo tratto da www.utopieconcrete.it.
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