La CIA e il laboratorio iraniano
www.comedonchisciotte.org - 26/06/2009
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Nel marzo del 2000 la segretaria di Stato Madeleine Albright ha riconosciuto che l’amministrazione Eisenhower organizzò un cambio di regime in Iran nel 1953 e che questo avvenimento storico spiega l’attuale ostilità degli iraniani per gli Stati Uniti. La settimana passata, durante il suo discorso al Cairo rivolto ai mussulmani, il presidente Obama ha riconosciuto ufficialmente che «in piena Guerra Fredda gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo nell’abbattimento di un governo iraniano eletto democraticamente.
A quell’epoca, l’Iran era controllato da una monarchia da operetta diretta dallo Shah Mohammad Reza Pahlavi. Questi era stato insediato sul trono dai britannici, che avevano obbligato suo padre, l’ufficiale cosacco filonazista Reza Pahlavi, a dimettersi. Però lo shah si ritrovava un Primo Ministro nazionalista, Mohammed Mossadeq. Quest’ultimo, con l’appoggio dell’ayatollah Abu al-Qassem Kachani, nazionalizzò le risorse petrolifere. Furiosi, i britannici convinsero gli Stati Uniti a fermare la deriva iraniana prima che il paese sprofondasse nel comunismo. Allora la CIA mise in moto l’«Operazione Ajax», diretta ad abbattere Mossadeq con l’aiuto dello shah e sostituirlo con il generale nazista Fazlollah Zahedi, fino allora imprigionato dai britannici. Zahedi instaurò il regime di terrore più crudele dell’epoca, mentre lo shah faceva da copertura ai suoi abusi posando per le riviste di gossip occidentali.
L’Operazione Ajax fu diretta dall’archeologo Donald Wilber, lo storico Kermit Roosevelt (nipote del presidente Theodore Roosevelt) e dal generale Norman Schwartzkopf senior (il cui figlio omonimo fu comandante dell’Operazione Tormenta nel Deserto). Tale operazione è tuttora un modello di sovversione. La CIA progetta uno scenario che dà l’impressione di una sollevazione popolare mentre si tratta di un’operazione segreta. Il punto culminante dello spettacolo fu una manifestazione a Teheran, con 8.000 comparse pagate dall’Agenzia, per fornire foto convincenti alla stampa occidentale.
La storia si ripete? Washington ha rinunciato ad attaccare militarmente l’Iran e ha dissuaso Israele da prendere questa iniziativa. Per ottenere un «cambio di regime», l’amministrazione Obama preferisce giocare la carta -meno pericolosa anche se più incerta- dell’azione segreta. In occasione delle elezioni presidenziali iraniane, grandi manifestazioni contrappongono nelle piazze di Teheran i sostenitori del presidente Mahmud Ahmadinejad e la sua guida Ali Khamenei da una parte e i sostenitori del candidato sconfitto Mir Hossein Moussavi e dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani dall’altra. Tali manifestazioni riflettono una profonda divisione nella società iraniana tra un proletariato nazionalista e una borghesia che lamenta la sua emarginazione dalla globalizzazione economica. Agendo dietro le quinte, Washington cerca di influire sugli avvenimenti per abbattere il presidente rieletto.
Ancora una volta l’Iran è un terreno di sperimentazione di metodi innovativi di sovversione. Nel 2009 la CIA si basa su una nuova arma: il controllo dei telefoni cellulari. Da quando c’è stata una diffusione generalizzata dei cellulari, i servizi segreti anglosassoni hanno moltiplicato le loro capacità di intercettazione. Mentre l’ascolto dei telefoni fissi necessita dell’installazione di cavi di derivazione, e pertanto di agenti sul terreno, l’ascolto dei cellulari si può fare a distanza grazie alla rete Echelon. Tuttavia questo sistema non permette di intercettare le comunicazioni telefoniche via Skype, e da qui il successo dei telefoni Skype nelle zone di conflitto. Così la National Security Agency (NSA) ha di recente proposto ai provider di tutto il mondo di fornire la loro collaborazione. Quelli che hanno accettato sono stati retribuiti generosamente.
Nei Paesi che occupano -Iraq, Afghanistan e Pakistan- gli anglosassoni intercettano tutte le conversazioni telefoniche effettuate tramite cellulari o in connessione con questi. L’obiettivo non è quello di ottenere trascrizioni di questa o quella conversazione, ma individuare le «reti sociali». In altre parole i telefoni sono i delatori che permettono di conoscere con chi si relaziona una certa persona. A partire da qui si possono individuare le reti di resistenza. Successivamente i telefoni permettono di localizzare gli obiettivi individuati e «neutralizzarli».
Per questo nel febbraio 2008 i ribelli afghani hanno ordinato ai diversi gestori di interrompere le loro attività tutti i giorni dalle 17:00 alle 3:00, per impedire che gli anglosassoni seguissero i loro movimenti. Le antenne di quelli che non hanno obbedito a quest’ordine sono state distrutte.
Al contrario (eccetto la centrale telefonica danneggiata per errore), l’esercito israeliano si è ben guardato di bombardare le antenne telefoniche a Gaza durante l’operazione Piombo Fuso nel dicembre 2008-gennaio 2009. Qui compare un cambiamento totale di strategia da parte degli occidentali. Dalla guerra del Golfo prevaleva la «teoria dei cinque anelli» del colonnello John A. Warden: il bombardamento delle infrastrutture telefoniche era considerato un obiettivo strategico per diffondere la confusione nella popolazione e contemporaneamente interrompere le comunicazioni tra i centri di comando e i combattenti. Ora è il contrario, è necessario proteggere le infrastrutture delle telecomunicazioni. Durante i bombardamenti di Gaza, l’operatore Jawwal ha fornito credito ai suoi abbonati, ufficialmente per aiutarli, in realtà per interesse degli israeliani.
Spingendosi più oltre, i servizi segreti anglosassoni e israeliani hanno sviluppato metodi di guerra psicologica basati sull’utilizzo estensivo dei cellulari. Nel luglio 2008, dopo lo scambio di prigionieri e cadaveri tra Israele e Hezbollah, i robot hanno inviato decine di migliaia di chiamate ai cellulari libanesi. Una voce in arabo avvertiva di non partecipare in alcun modo alla resistenza e denigrava Hezbollah. Il ministro libanese delle Telecomunicazioni Jibran Bassil, ha presentato una denuncia all’ONU contro questa flagrante violazione della sovranità del Paese.
Sulla stessa linea, decine di migliaia di libanesi e siriani ricevettero una chiamata automatica, nell’ottobre 2008, che offriva 10 milioni di dollari per qualsiasi informazione che permettesse di localizzare e liberare i soldati israeliani prigionieri. Le persone interessate a collaborare dovevano rivolgersi a un numero nel Regno Unito.
Questo metodo viene ora utilizzato in Iran per intossicare la popolazione con la diffusione di notizie allarmistiche e per canalizzare il malcontento che suscitano.
In primo luogo è stata diffusa via SMS durante la notte dello scrutinio la notizia che il Consiglio dei Guardiani della Costituzione (equivalente al Tribunale Costituzionale) aveva informato Mir Hossein Moussavi della sua vittoria. Così l’annuncio, diverse ore dopo, dei risultati ufficiali -la rielezione di Mahmud Ahmadinejad con il 65% dei voti- apparve come un’enorme frode. Tuttavia, tre giorni prima, Moussavi e i suoi amici consideravano sicura la netta vittoria di Ahmadinejad e si sforzavano di spiegarla con gli squilibri nella campagna elettorale. Così l’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani articolava le sue lamentele in una lettera aperta. Gli istituti statunitensi di sondaggi in Iran pronosticavano un vantaggio di Ahmadinejad di 20 punti su Moussavi. In nessun momento è parsa possibile la vittoria di Moussavi, anche se è probabile che i brogli abbiano accentuato il margine tre i due candidati.
Successivamente sono stati selezionati dei cittadini tra quelli che si sono fatti conoscere in Internet per conversare su Facebook o tra gli abbonati alle linee di informazione Twitter. Quindi hanno ricevuto, sempre tramite SMS, le informazioni -vere o false- sull’evoluzione della crisi politica e sulle manifestazioni in corso. Si trattava di messaggi anonimi che diffondevano notizie di sparatorie e di numerosi morti; notizie che ad oggi non hanno avuto conferma. Per una sfortunata coincidenza di calendario, l’impresa Twitter ha dovuto sospendere il servizio per una notte, il tempo necessario per la manutenzione delle sue installazioni. Ma il Dipartimento di Stato USA è intervenuto per obbligarla a sospendere questa operazione. Secondo il New York Times, queste azioni hanno contribuito a seminare la sfiducia nella popolazione.
Simultaneamente, con un nuovo sforzo, la CIA ha mobilitato i militanti anti iraniani negli Stati Uniti e nel Regno Unito per aumentare il disordine. E’ stata distribuita una Guida pratica della rivoluzione in Iran, che comprende vari consigli pratici tra i quali:
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Impostare gli account Twitter sul fuso orario di Teheran.
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Centralizzare i messaggi sugli account Twitter@stopAhmadi, iranelection e gr88.
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Non attaccare i siti internet ufficiali dello Stato iraniano. «Lasciate fare all’esercito» USA per questo (sic).
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Una volta attuati, questi consigli impediscono qualsiasi autentificazione dei messaggi Twitter. Non si può più sapere se li inviano testimoni delle manifestazioni a Teheran o agenti della CIA da Langley, e non si può distinguere il vero dal falso. L’obiettivo è quello di creare ancora più confusione e spingere gli iraniani a combattersi tra loro.
Gli stati maggiori di tutto il mondo seguono con attenzione gli avvenimenti a Teheran. Tutti cercano di valutare l’efficacia di questo nuovo metodo di sovversione nel laboratorio iraniano. E’ ovvio che il processo di destabilizzazione ha funzionato. Ma non è sicuro che la CIA possa canalizzare i manifestanti perché essi stessi facciano quello che ha rinunciato a fare il Pentagono se non desiderano farlo: cambiare il regime, chiudere con la rivoluzione islamica.
Testo tratto da www.comedonchisciotte.org.
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Categorie: Politica e Informazione
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