Elogio del mercato locale e del quartiere
Relazioni umane, qualità dei prodotti, chilometro zero: perché preferiamo il mercato locale e il commercio del quartiere agli ipermercati della grande distribuzione organizzata
Marianna Gualazzi - 31/07/2017
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Da sempre il mercato cittadino, che da secoli occupa il centro del paese, la piazza principale della città, è luogo non solo di commercio, ma anche di relazioni umane, di scambio di informazioni, di nascita di progetti, di convivialità.
Al mercato ci andiamo per comprare, ma anche e soprattutto per incontrare: i nostri concittadini e le persone da cui acquistiamo i prodotti. Se si tratta di prodotti agricoli, spesso quella faccia e quelle mani hanno fatto crescere alcuni, se non tutti, i prodotti esposti sui banchi.
Allora il nostro contadino di fiducia ci consiglierà sulla verdura più fresca, garantendone in prima persona la provenienza; il pastore ci dirà che oggi la ricotta è venuta più saporita della settimana scorsa perché le pecore hanno pascolato in un campo ricco di una particolare erba spontanea.
Zero relazioni umane: supermercati
Se invece che al mercato andiamo a fare la spesa al supermercato, cosa accade di diverso?
Al supermercato ci si va solo per comprare: è raro incontrare qualcuno che si conosce, dal momento che gli orari di apertura sono molto più estesi e variegati rispetto a quelli del mercato locale. Ma soprattutto non abbiamo modo di entrare in relazione con nessuno che abbia qualcosa a che fare con la produzione dei generi alimentari che acquistiamo.
I dipendenti del supermercato posizionano i prodotti sugli scaffali, tagliano e affettano formaggi, salumi e carni, riscaldano in forno pani e dolci preparati e precotti altrove. Non sanno che cosa ha mangiato la mucca o la pecora con il cui latte è stata fatta la ricotta. La ricotta del supermercato avrà, tendenzialmente, sempre lo stesso sapore, magari sarà anche buona e le nostre papille gustative potranno vivere tranquille e sicure.
L’unico scambio che possiamo avere con le persone che sono impiegate nella grande distribuzione è quello di chiedere loro dove si trovano i prodotti. Ormai non possiamo parlare neppure con i cassieri, dal momento che gran parte delle casse con personale sono state trasformate in casse automatiche senza operatore che il consumatore utilizza da solo.
La nostra spesa all’ipermercato è un vagare solitario in uno spazio enorme e zeppo di prodotti, in cui nulla è lasciato al caso: in base alle strategie del visual marketing ogni prodotto occupa una precisa posizione, in modo da massimizzare consumi e acquisti.
Siamo solo noi e il nostro carrello da riempire: siamo solo noi e il nostro rimuginare di pensieri e preoccupazioni mentre decidiamo che sì, ci serve proprio anche quel pacco di biscotti o quello yogurt senza lattosio made in Germany.
“Persone oltre le cose”, dice lo slogan di una notissima catena di super e ipermercati: ma molto oltre le cose, mi viene da dire.
Tra mercato e supermercato: il quartiere
Io al supermercato e all’ipermercato non ci vado più.
Non ci vado più perché perdo un sacco di tempo a trovare le cose tra mille corsie. Non ci vado più perché l’aria e le luci artificiali mi fanno venire un gran mal di testa. Non ci vado più perché c’è troppa roba, mi stresso, mi deconcentro e finisce che o dimentico la metà delle cose, anche se ho fatto la lista, o acquisto cose che non mi servivano. Non ci vado più perché i prodotti alimentari, frutta e verdura in particolare, sono spesso inacquistabili, sia per i prezzi sia per la qualità.
Bassa qualità in frutta e verdura è sinonimo di molti scarti e poco sapore, e questo non mi piace.
È vero, però, che non riesco sempre ad andare al mercato: mi capita di non essere libera nei giorni in cui la piazza si riempie di bancarelle, profumi e sapori. Allora ho trovato una via di mezzo: la terza via.
Ho riscoperto il commercio nel quartiere. Passeggiando nel quartiere con i miei figli ho capito che c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno: dal fruttivendolo al macellaio, dalla bottega dei generi alimentari alla merceria, dal negozio bio al fornaio.
Acquistare nel quartiere è molto comodo perché colgo l’occasione di fare una passeggiata a piedi il pomeriggio quando torno dal lavoro: faccio la spesa quasi tutti i giorni, acquistando di mano in mano i prodotti freschi che mi servono per la cena. Sono piccole spese che posso portare a mano o sotto il passeggino.
I negozi del quartiere sono gestiti da persone e da famiglie che fanno questo lavoro da due o tre generazioni: per quel che riguarda il settore alimentare spesso hanno prodotti locali perché conoscono gli agricoltori della zona e si fanno portare da loro prodotti freschi a chilometro quasi zero.
Ora ho il mio fruttivendolo di fiducia nel quartiere: ha una botteghina minuscola sopra una collina e dietro ha un po’ di terra sua. Le cose che non produce lui le acquista al mercato ortofrutticolo o da altri agricoltori della zona.
Si chiama Salvatore ed è di origine siciliana: quando vai da lui devi sempre avere un po’ di tempo per parlare, perché una chiacchierata è d’obbligo e senza parlare non si compra.
Chiaro che da Salvatore non trovi l’avocado o i cetrioli a febbraio: lui si rifiuta di comprarli, così come non ha i finocchi quando ci sono le gelate e li deve far pagare oltre 4 euro al chilo.
Lui dice che i finocchi a oltre 4 euro sono immorali. E come dargli torto!
E con un soggetto così in giro come si fa ad andare al supermercato? I miei figli lo adorano e gli hanno regalato un disegno del suo negozio con tanto di dedica: lui si è quasi commosso, lo ha incorniciato e ci ha regalato un cestino di fragole, un limone e una cipolla.
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Articolo tratto dalla rivista nr. 49
Categorie: Decrescita,Ambiente
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