Perché cambiare?
Il libro "Pensare come le montagne" ci spiega perché il vero cambiamento può nascere solo da profonde motivazioni personali: manuale teorico-pratico di decrescita per salvare il mondo
Valerio Pignatta e Paolo Ermani - 03/01/2012
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Spesso si sente dire che cambiare è difficile, che non si può fare molto, che tanto non c'è speranza.
Noi crediamo, invece, che cambiare la realtà sia meno difficile di quanto si pensi. A volte basta volerlo. Perlomeno cambiare la propria realtà, che poi è la prima e più importante cosa da fare se si vuole cambiare anche il resto. Nel nostro paese si vive con un retaggio culturale per il quale fare del bene e, come si suol dire, "impegnarsi", è giusto, fa bene, soprattutto alla coscienza. Ecco perché, spesso, chi fa del bene o vuole comunque impegnarsi è poco tranquillo nelle scelte che fa o le attua in maniera poco convinta, come se dovesse fare uno sforzo, un sacrificio, qualcosa che si fa perché si deve, perché "è giusto".
Azioni come l'invio di un sms per questo o quel progetto in Africa, o la partecipazione a un gruppo di volontariato e così via, sono tutte attività magari lodevoli, ma sempre più confinate alla buona volontà del momento, mentre il cambiamento dovrebbe essere reale, sentito, duraturo, e di ampia visuale. Esso peraltro dovrebbe fare parte della normalità. Senza che abbia un manto di sacrificio, di rinuncia, di tensione, di fioretto.
Un reale, convinto, profondo ed efficace cambiamento si può realizzare e si ha come obiettivo il miglioramento della propria qualità della vita, che non significa solo un ambiente migliore, ma un miglioramento complessivo delle proprie condizioni di esistenza, non ultimo degli aspetti relativi a un accrescimento "spirituale" della stessa. Non cambiare per qualcosa o qualcuno, ma perché si è convinti e si crede che si starà meglio, perché è la propria strada, perché è quello che si sente profondamente, perché lo si ama fare. Possiamo fare alcuni esempi.
Attuo la raccolta differenziata, l'isolamento termico dell'abitazione o la riduzione dei miei consumi non solo perché così sarò un bravo ambientalista. Faccio queste scelte perché le conseguenze di questi miei atti saranno un maggiore confort in casa, una diminuzione degli oggetti a cui dovrò badare, un effettivo risparmio di denaro e, a cascata, un minor bisogno di lavorare per procurarmelo. Inoltre, diminuirò certamente le emissioni inquinanti e avrò meno bisogno di materie prime, che non voglio più rapinare alle genti di qualche paese cosidetto povero. insomma farò delle scelte che, oltre che migliorare la qualità della mia vita, andranno a influenzare e migliorare la qualità della vita degli altri. Tutto questo mi fa stare meglio e non lo vivo come un fioretto fatto in nome dell'ambiente e della cooperazione fra i popoli: aspetti degni di considerazione ma che diventano talvolta delle scusanti per altri reali intenti di fondo. (...)
Possiamo fare un altro esempio: perché fare il pane in casa è meglio che acquistarlo? Fare il pane in casa con le proprie mani significa riscoprire il piacere di fare qualcosa che ci nutre in prima persona. E poi si inquina di meno, si perde meno tempo che andarlo a comprare, dura più giorni del plasticone omologato commerciale, non si hanno rifiuti, si risparmia denaro, non si ingeriscono sostanze chimiche, diminusce il PIL, ma soprattutto farlo ci rende molto più contenti e realizzati che non comprarlo.
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Categorie: Decrescita
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