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Dall'Architettura della Spazzatura nasce Jellyfish, il primo teatro interamente riciclato

Martina Turola - 03/09/2010




 

Immaginate un giorno di svegliarvi e di scoprire che nel vostro quartiere stanno costruendo un teatro. Fin qui niente di stupefacente; se il teatro è interamente costruito con materiali di recupero e avrà una durata “temporanea”, la faccenda diventa però sicuramente più originale.

 

Gli abitanti di Southwark, un quartiere a sud di Londra, a 10 minuti di cammino dalle rive del Tamigi, hanno la fortuna di trovarselo veramente davanti un teatro del genere. Alcuni di loro hanno anche contribuito attivamente alla sua creazione. Ottantuno volontari fra cui architetti disoccupati, carpentieri, persone che semplicemente hanno attraversato la strada per dare una mano durante la pausa pranzo, hanno lavorato complessivamente 4200 ore per mettere in piedi Jellyfish  (Medusa)- questo il peculiare nome del teatro - sotto la supervisione dei due architetti responsabili del progetto, Kobberling e Kaltwasser.

 

Un altro particolare interessante di questo teatro è che nasce da un progetto aperto: a parte alcuni disegni iniziali della struttura portante che tiene in piedi l’edificio, tutto il resto è stato improvvisato in corso d’opera sulla base dei materiali reperiti.

Così Londra adesso può vantare il suo primo teatro perfettamente funzionante e a norma di legge - rispetta le normative antincendio - interamente costruito con materiale recuperato e riciclato. Scenografie teatrali, cassette del mercato, vecchie cucine, scarti di cantieri edili, pallet provenienti dal mercato della frutta di Covent Garden e praticamente qualsiasi cosa che i residenti e le aziende locali hanno “donato” per il progetto, contribuiscono a dare forma al teatro Medusa, nato per iniziativa della compagnia di teatro alternativo The Red Room.

 

La compagnia aveva bisogno di uno spazio in cui mettere in scena le sue produzioni tematiche su ambiente e clima per il progetto Oikos, dal greco antico per “casa” e radice delle parole economia ed ecologia. Il teatro può ospitare 120 persone e avrà una vita “fugace”: resterà in piedi e attivo per poco più di un mese (da fine agosto ai primi di ottobre), giusto il tempo per la rappresentazione dei due spettacoli in programma, incentrati sulla vita di persone che cercano di ricostruire le loro esistenze a seguito di catastrofi politiche e ambientali.

 

"Sono la nostra risposta alla catastrofe climatica - ha dichiarato il direttore artistico della compagnia Red Room, Topher Campell, al quotidiano inglese Guardian – una condizione che potrebbe avverarsi in parte a causa della nostra avidità collettiva, del nostro desiderio insaziabile di consumare, di sprecare energia, materiale, natura. Immagino il modo in cui cercherei di farcela se il cielo sprofondasse: mi piacerebbe sapere di poter trovare persone capaci di costruire ripari per proteggerci e permetterci di pensare a cosa fare dopo”.

 

Medusa, il nome del teatro, rappresenta perfettamente questa condizione, è la metafora di una struttura fragile in un ambiente fragile. "Le persone trovano le meduse un po’ fastidiose, ma in realtà sono creature fragili, che hanno bisogno delle acque pulite che invece noi sporchiamo. E che appaiono per poi risparire di nuovo”.

 

Proprio come questo teatro e altri edifici di Kobberling e Kaltwasser, i due architetti tedeschi di Berlino responsabili di Jellyfish, che collaborano da 12 anni in progetti di architettura di “resistenza”, o Junkitechture (architettura della spazzatura), come viene anche chiamata. Il Werdplatz-palais,  ad esempio, un centro sociale di Zurigo, improbabile intruso urbano che si ergeva proprio accanto alla Borsa, smantellato dopo tre mesi dalla sua inaugurazione nel 2008 per essere poi riciclato in uno spazio-giochi per bambini immigrati, che hanno contribuito in prima persona alla sua costruzione.

 

Architettura di resistenza, dicevamo sopra, così la concepiscono i due architetti. Perché resistenza? Perché propone un’alternativa a spazi pubblici noiosi e a centri commerciali consegnati da politici, costruttori e architetti alle comunità locali, che di fatto ne diventano semplici utilizzatrici passive. Alternativa fatta di edifici dalla vita breve, ma eco-compatibili, riciclati, costruiti da persone che vivono spesso in città molto regolate, e magari con un potere politico ed economico scarsissimo come nel caso di Zurigo,  a seconda dei loro bisogni e delle loro necessità.

 

 

 

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Categorie: Bioedilizia e Bioarchitettura,Autoproduzione e Riciclaggio creativo,Ecologia e Localismo,Emergenza Rifiuti




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